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Cura dei sintomi o delle cause?

Troppe persone confondono la cura dei sintomi con la cura delle cause. Ciò può causare un percorso curativo scorretto con ritardi o addirittura impossibilità di guarigione.

Le cure sintomatiche

Come dice la locuzione, curano i sintomi. Sono utili soprattutto quando i sintomi sono fastidiosi e la patologia guarirebbe da sé (molti “rimedi della nonna” sono sintomatici). Caso classico l’influenza in cui la cura dei sintomi ha senso per migliorare la qualità della vita del soggetto nell’attesa che il corpo reagisca e debelli la malattia. Si noti che la strategia “in caso di influenza è meglio non curare i sintomi per permettere al corpo di fortificarsi” è scientificamente risibile in quanto è ampiamente dimostrato che i soggetti sensibili ad ammalarsi non migliorano le loro difese immunitarie quante più influenze contraggono (cioè, in altri termini, continuano ad ammalarsi!).

Le cure sintomatiche non sono invece particolarmente utili quando la patologia non guarisce spontaneamente; di solito sono comunque impiegate solo in assenza di una cura (per alleviare le sofferenze del paziente) o nell’attesa che altre cure risolvano il problema. Sono invece da evitare quando, di fatto, sono scambiate per causali e praticamente portano il soggetto a non indagare le vere cause.

Cura dei sintomi o delle cause

Confondere la cura dei sintomi con quella delle cause può indirizzare verso un percorso curativo scorretto

Le cure causali

Come dice la locuzione, curano le cause. Sembrerebbero quindi le migliori da applicare e ciò è vero quando esistono, quando la causa è veramente definita e quando gli effetti collaterali sono sotto controllo. Un uso scorretto di una cura causale si ha quando, banalmente, si sbaglia causa.

Qualche esempio

Consideriamo i farmaci antinfiammatori. Appartengono a entrambe le categorie. In caso di trauma acuto, sono causali nel senso che l’infiammazione deve essere bloccata, ma sono anche sintomatici nel senso che tutti, più o meno, hanno associata un’azione antidolorifica.

In caso di patologia cronica, gli antinfiammatori (o antiflogistici) sono soprattutto sintomatici e, se sono l’unica cura, possono anche essere negativi in quanto illudono il soggetto di una guarigione che non c’è (esempio: l’atleta che li usa per poter correre e non sentire dolore; se trattasi di una soluzione una tantum (per esempio, il campione che deve correre la finale olimpica) la strategia può aver senso, ma se si spera che sia una strategia definitiva (amatore che prende l’antinfiammatorio per continuare a praticare sport) è disastrosa perché il continuo sovraccarico (non sentito per l’azione antidolorifica) peggiora la situazione.

In molti infortuni ortopedici l’assunzione di antinfiammatori può essere una delle risorse iniziali (qualche giorno) di attacco della patologia (con il paziente a riposo da ogni attività): dopo la sospensione si verifica se hanno avuto anche un effetto causale e, in caso negativo, si deve passare ad altre soluzioni.

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