La mammografia (o esame mammografico) è una tecnica diagnostica radiologica che rientra fra gli esami che sono consigliati nei piani di prevenzione del tumore al seno.
In genere con la palpazione al seno si rilevano tumori superiori al cm. Per raggiungere questa dimensione il tumore impiega da 5 a 10 anni; oggi i carcinomi scoperti con dimensioni inferiori al cm sono guaribili nel 90% dei casi.
Come vedremo, l’efficienza della mammografia diventa molto interessante sopra i 50 anni, mentre diversi sono i dubbi sotto tale età (si legga il paragrafo Mammografia: sotto i 50 è utile?)
L’esame
La mammografia si basa sull’acquisizione di un’immagine delle mammelle (mammogramma) effettuata ai raggi X, un tipo di radiazione che, nell’intero spettro delle radiazioni elettromagnetiche, si trova nelle bande a più alta energia [da 100 a 100.000 elettronvolt (Unità di misura dell’energia, corrispondente all’energia cinetica acquistata da un elettrone che si muove in un campo elettrico uniforme sotto l’azione della differenza di potenziale di 1 Volt) per fotone].
Lo strumento con il quale si esegue la mammografia si chiama mammografo. Lo scopo dell’esame è quello di identificare le microcalcificazioni all’interno del tessuto della mammella che non siano rilevabili alla sola palpazione. Si è visto infatti che queste formazioni possono essere indizio della presenza di un tumore anche in fase iniziale. Si deve precisare però che esistono anche microcalcificazioni benigne ovvero non correlate alla presenza di un tumore. Inoltre, la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO) afferma che l’efficacia della mammografia come strumento di diagnosi può essere ridotta da alcuni fattori, come
- l’età inferiore a 50 anni,
- la presenza di un seno dal tessuto denso
- il non aver mai allattato.
La WHO afferma anche, nel suo documento di prevenzione del cancro al seno, che una mammografia negativa non implica la non esistenza del tumore stesso. Come tutti gli esami di indagine diagnostica, anche la mammografia ha una percentuale di falsi negativi e falsi positivi: si stima che una percentuale molto variabile, compresa tra il 30% e il 50% di tutti i tipi di lesione (quindi anche quelle benigne) non sia rilevabile dal radiologo durante l’esame. Inoltre, una percentuale dal 10% al 20% costituisce i falsi positivi ovvero una lesione classificata come maligna che poi con successive analisi (generalmente l’esame citologico o istologico) risulta benigna.
In sé, la mammografia non è un esame particolarmente fastidioso (anche se alcune donne lo trovano tale) e nemmeno doloroso; la procedura è piuttosto semplice e standardizzata e non è necessario alcun tipo di preparazione. Non viene somministrato alcun medicinale, non occorre presentarsi a digiuno e non si devono osservare particolari regole di tipo dietetico. La durata dell’indagine è di circa 10-15 minuti.
Per far sì che il mammogramma risulti il più nitido possibile e per minimizzare le dosi di radiazioni, la mammella viene posizionata su un sostegno e compressa delicatamente fra due piatti in materiale plastico. Questa lieve compressione fa sì che il tessuto adiposo e quello ghiandolare vengano compressi e dissociati in modo da facilitare il loro esame.
Mammografia: analogica o digitale?
Esistono due tipi di mammografia:
- Mammografia analogica: la più comune, in cui un’immagine viene impressa su lastre come quelle delle normali radiografie.
- Mammografia digitale: l’immagine, invece di essere stampata su lastre, è trasmessa direttamente al computer in tempo reale.
Uno studio di alcuni anni fa, apparso sul New England Journal of Medicine, metteva in evidenza che la mammografia digitale, rispetto a quella analogica, è più precisa, specialmente per le donne giovani (in cui la densità delle mammelle è più elevata) e in quelle meno giovani, ma con un’età comunque inferiore ai 50 anni. Lo studio si basava su un campione di 49.528 donne degli Stati Uniti e del Canada.
La maggior efficacia è dovuta alla possibilità, in tempo reale, di effettuare modifiche dell’angolo di visione e dei fattori di ingrandimento, con tecniche proprie dell’elaborazione digitale delle immagini. Tuttavia, alcuni studi hanno evidenziato che l’apporto di tecniche al calcolatore che sono alla base dei programmi che assistono il medico nell’emissione della diagnosi sono ben lontani dall’essere affidabili; le singole microcalcificazioni sono difficilmente osservabili in quanto camuffate dalla struttura del tessuto circostante. Si calcola che circa il 30-50% delle microcalcificazioni rilevate al computer siano attorno a un millimetro di diametro.
La dose di radiazioni che investe il corpo è inferiore nel caso delle mammografie digitali che hanno però, come unico svantaggio per i programmi di prevenzione di massa, di avere un costo da 4 a 8 volte superiore rispetto a quello di una mammografia di tipo analogico. Quest’ultimo aspetto può costituire un elemento importante per la scelta del centro ove effettuare il controllo in quanto le radiazioni utilizzate, essendo tra quelle a più alta energia, sono anche quelle più pericolose per i tessuti biologici. Tuttavia in Italia non è ancora in uso, come negli Stati Uniti, un monitoraggio preciso della dose di radiazioni connesse a ogni tipo di esame medico; in alcuni programmi di assistenza medica negli Stati Uniti infatti, viene consegnata a ciascun paziente una tessera sulla quale si annotano la dose di radiazioni assorbite a ogni esame diagnostico effettuato (mammografia, radiografie dentarie o ortopediche, radiografie polmonari, MOC, scintigrafia…) e la data dell’esame.
In assenza di una misura precisa, risulta difficile capire, nell’arco dell’anno, se si sta sottoponendo il proprio corpo a un’esposizione potenzialmente pericolosa di radiazioni ionizzanti. La dose di radiazioni assorbita dalla mammografia è anche dipendente dall’obsolescenza degli strumenti e dalla necessità, spesso per imperizia del personale, di dover ripetere l’esame. Poiché l’esposizione a questo tipo di radiazioni costituisce un fattore di rischio per il tumore al seno (e per molti altri tipi di tumore), occorre avere estrema attenzione nella scelta della struttura presso la quale effettuare il controllo e cercare di affidarsi a strumentazioni moderne e possibilmente di ultima generazione (digitali) manovrate da personale esperto e preparato.
Infine, esistono due tipi di protocollo di indagine della mammografia: mammografia di screening, in cui si acquisiscono due sole proiezioni (inquadrature) delle mammelle, generalmente dal tecnico radiologo senza la presenza del medico e la mammografia clinica, in cui si acquisiscono tutte le inquadrature necessarie, effettuata dal medico e associata a indagine ecografica e alla visita senologica (palpazione clinica effettuata dal medico esperto e non dalla paziente).
Dopo questa esposizione, dovrebbe risultare chiaramente che la mammografia digitale è preferibile rispetto all’analogica per:
- minor dose di radiazioni e riduzione del numero dei radiogrammi
- maggiore sensibilità e migliore risoluzione del contrasto
- minor numero di falsi positivi
- esecuzione più veloce
- archiviazione informatica e possibilità di trasmissione a distanza dei dati.
Mammografia con tomosintesi
La mammografia con tomosintesi è sostanzialmente una mammografia digitale in 3D a più alta definizione. La mammella è scomposta in tanti strati che poi, sovrapposti, ricostruiscono la figura dell’organo; si ottiene un indubbio vantaggio per i seni densi, più difficili da leggere, aumentando la probabilità di rilevare tumori mascherati. Si ottiene una maggiore accuratezza per neoplasie invisibili al test tradizionale.

L’efficienza della mammografia diventa molto interessante sopra i 50 anni, mentre diversi sono i dubbi sotto tale età
Misure precauzionali
L’esame mammografico non richiede particolari misure precauzionali, ma nelle donne in età fertile è consigliabile effettuarlo durante la prima metà del ciclo mestruale; i motivi sono essenzialmente due: durante questa fase si è certi che la donna non è in stato interessante e inoltre il seno presenta minori addensamenti e tensioni, fattori che incidono negativamente sul livello di precisione.
Sconsigliato l’utilizzo di deodoranti, creme, profumi o polvere di talco poiché le microparticelle presenti nei prodotti di bellezza possono alterare la qualità dell’immagine radiografica.
L’esame mammografico è altamente sconsigliato durante la gravidanza, in particolar modo nei primi 90 giorni; esiste infatti il rischio concreto di danneggiamenti al feto a causa delle radiazioni emesse dal mammografo. Va da sé che l’esame è sconsigliato anche nel caso in cui non si sia totalmente certi che la donna non sia incinta. La mammografia non ha ovviamente controindicazioni di questo tipo nelle donne che non sono più in età fertile.
Problematiche diagnostiche e grandezza del seno
Non c’è correlazione fra la grandezza del seno e il rischio di ammalarsi di carcinoma mammario. Le dimensioni del seno non creano problemi neppure a livello diagnostico, le maggiori problematiche in questo senso vengono non tanto dalla grandezza quanto dalla densità del tessuto mammario. La densità del seno è maggiore nelle donne giovani ed è per questo motivo che è consigliabile eseguire l’esame mammografico solo dopo una certa età, pena la sensibile riduzione di precisione diagnostica. Le cose cambiano invece a livello preventivo, infatti l’autopalpazione, procedura fondamentale in un serio piano di prevenzione del tumore al seno, perde sicuramente parte della sua efficacia perché, più il seno è grande più risulta difficoltoso scoprire eventuali alterazioni. Le dimensioni del seno hanno poi una certa influenza nella scelta delle modalità di un eventuale intervento chirurgico. Risulta infatti chiaro che, a parità di grandezza della lesione tumorale, vi saranno peggiori conseguenze estetiche in un seno di dimensioni minori.
Mammografia: quando farla?
La domanda trova diverse risposte presso la comunità medica. Alcuni la propongono dai 40 anni in su, altri dopo i 50 anni. Come vedremo più avanti, il numero di falsi positivi sotto ai 50 anni, la scarsa leggibilità nelle donne sotto i 40-45 anni (a causa della densità della ghiandola mammaria, la mammografia può risultare poco leggibile rispetto all’ecografia) consigliano prima di una certa età l’ecografia (che, a differenza della mammografia, può non essere in grado di determinare tumori troppo piccoli, ma che non ha i problemi legati alla densità del seno).
Concretamente, raccogliendo e valutando i pareri della comunità scientifica:
- dai 25 ai 50 anni si raccomanda di effettuare ogni anno l’esame clinico (palpazione del seno, la cui importanza non va sottovalutata, rimanendo uno degli strumenti più efficaci nell’individuazione di un tumore mammario nelle prime fasi della sua esistenza) e un’ecografia.
- Per le donne dai 50 anni in poi, si raccomandano l’esame clinico su base annuale e la mammografia con tomosintesi ogni due anni.
Mammografia: prima dei 50 anni è utile?
La mammografia è un esame che, prima o poi, viene proposto a tutte le donne, spesso anche in giovane età. Prima di rispondere alla domanda del titolo di questo paragrafo, un semplice test (chi trova difficoltà nella terminologia può leggere l’articolo Sensibilità e specificità).
Provate a riflettere su questi dati:
- la mammografia ha una sensibilità del 90%;
- la mammografia ha una specificità del 91%;
- una donna di 40 anni ha l’1% di probabilità di avere il cancro al seno.
Ora rispondete: vale la pena eseguire screening di massa con la mammografia? Se avete risposto “sicuramente sì”, attratti dalla presentazione fatta che usa percentuali molto vicine al 100% (che generano un senso di affidabilità, di certezza), provate a rispondere a questa domanda: qual è la probabilità che una donna con mammografia positiva sia veramente malata? Sono sicuro che la maggior parte dei lettori, anche se ha ben capito i primi tre punti, non saprebbe rispondere. Come suggerito da G. Gigerenzer (Quando i numeri ingannano) proviamo a riflettere non in termini di percentuali, ma in termini di frequenze naturali. I punti 1 e 2 diventano:
- su 100 donne malate di cancro al seno, 90 risultano positive;
- su 100 soggetti sani, 9 risultano comunque positivi.
A questo punto consideriamo 100 donne attorno ai 40 anni. Mediamente, una sarà malata e al 90% il suo mammogramma sarà positivo; ma sarà positivo anche per (quasi, visto che sono 99 e non 100) 9 delle 99 donne che non sono malate. Dieci risultano positive, ma solo una è malata. Morale: solo il 10% delle mammografie positive individua veramente una donna malata. Anche se non conoscono la statistica, molti medici si sono accorti di questa bassa percentuale di diagnosi precoci (10%), tant’è che suggeriscono esami successivi, come una semplice ecografia. Ma allora la domanda geniale è: perché non fare subito un’ecografia? Se logicamente la soluzione spontanea sarebbe di fare subito l’ecografia, senza eseguire una mammografia, in realtà questa soluzione può funzionare solo in presenza di un buon ecografista e con tempi più lunghi dell’esame, tempi che si tradurrebbero in costi che per gli screening di massa sarebbero inaccettabili. Niente vieta però di attuare individualmente questa strategia. Da notare che, quanto più aumenta la percentuale delle donne malate (per esempio nelle ultracinquantenni), la probabilità dal 10% sale: se per esempio nella fascia d’età X la percentuale delle malate fosse il 2%, la percentuale delle positive alla mammografia veramente malate sarebbe circa del 18% ecc.
Mammografia e screening di massa
Per rispondere significativamente alla domanda sulla convenienza a effettuare una mammografia occorre premettere alcuni risultati:
1) occorre distinguere il valore della mammografia negli screening di massa e su pazienti sospetti. Nel primo caso valgono i limiti statistici esposti nel test mentre nel secondo l’alta sensibilità della mammografia rende l’esame molto più produttivo.
2) La diagnosi precoce non è certo prevenzione.
3) A oggi, la diagnosi precoce per molte forme tumorali non implica una riduzione della mortalità.
4) Non tutti i tumori maligni al seno sono destinati a progredire (come il carcinoma duttale in situ che è piuttosto frequente nelle donne giovani e che può evolvere, ma non è detto che lo faccia, nella forma invasiva dopo lunghi periodi, a volte decenni). Quali sono i risultati delle ricerche che hanno comparato gruppi con screening e gruppi senza screening (in questa sede mi limito a presentare i dati ampiamente commentati nel testo di Gigerenzer)? Per le donne fra i 40 e i 49 anni solo una ricerca su 10 ha rilevato una significativa differenza nella mortalità fra i due gruppi. Attualmente quindi è piuttosto ottimistico pensare che la mammografia possa ridurre la mortalità delle quarantenni. A mo’ di esercizio, studiamo l’unica ricerca (Göteborg, Svezia) che ha avuto un riscontro positivo.
Notate come la presentazione dei dati (effetto cornice) possa alterarne la comprensione:
- Riduzione del rischio relativo – Usa il trucco delle percentuali relative; il ricercatore può dire che lo screening mammografico riduce il rischio di mortalità del 25%! A questo punto molti, frettolosamente, converranno che è una procedura da attuare al più presto! Questo perché si è portati a credere che su 100 donne che partecipano allo screening 25 si salvino. Grossolano errore!
- Riduzione del rischio assoluto – Se si parla in termini di rischio assoluto, la riduzione della mortalità è da 4 a 3 decessi ogni 1.000 donne (ecco la riduzione del 25%). Cioè si salva 1 donna su 1.000.
- Aumento della speranza di vita – Qui il dato diventa ancora più deludente. Traducendo il salvataggio di una donna su mille in speranza di vita, si ha un guadagno medio per ogni partecipante allo screening di 12 giorni! I numeri sono talmente piccoli (3 decessi contro 4 su 1.000 soggetti) che per le donne dai 40 ai 49 anni molte ricerche non hanno nemmeno rilevato un vantaggio nell’eseguire lo screening. Mediando le dieci ricerche, si può stimare che se un milione di quarantenni si sottoponesse allo screening si salverebbero 100 donne. Peccato che oggi si stimi che, su un milione di donne che si sottopongono a screening mammografico a partire dai 40 anni, circa 300 contrarranno un cancro al seno indotto dalle radiazioni e la metà ne morirà. Fra gli svantaggi occorre rilevare che:
- le tantissime false positive pagano un altissimo prezzo psichico.
- Le donne con carcinoma statico (che non progredisce) pagano un prezzo ancora più alto perché vengono comunque operate (d’altro canto, chi se la sentirebbe di garantire che il cancro mai evolverà?). In questo caso la diagnosi precoce può addirittura peggiorare la qualità della loro vita.
- Le radiazioni sono comunque cancerogene. Se è vero che oggi la mammografia comporta un decimo delle radiazioni necessarie 30 anni fa (l’effetto è proporzionale al dosaggio), resta vero che il numero di tumori al seno dovuti alle radiazioni è molto alto fino ai 50 anni, poi decresce (una trentenne rischia il doppio di una quarantenne che rischia il doppio di una cinquantenne).
I vari istituti interessati all’argomento prendono posizioni diverse. Dall’analisi di questa marea di dati si deduce che razionalmente:
- la mammografia è da sconsigliare prima dei 50 anni;
- la mammografia è utile oltre i 50 anni, soprattutto nelle forme più moderne (mammografia con tomosintesi).
Fra gli altri, questa è la posizione dell’US Preventive Service Task Force e della Canadian Task Force on the Period Health Exam.