Gli antidepressivi sono psicofarmaci utilizzati in caso di depressione o di altre patologie legate a variazioni abnormi dell’umore.
La depressione è malattia complessa e di difficile definizione: nel Personalismo, l’introduzione del vettore depressione fa intuire che al giorno d’oggi le diagnosi devono essere fatte in modo attento e personalizzato, agendo sul paziente non solo mediante una terapia con farmaci antidepressivi, ma anche lavorando sugli aspetti psicologici che predispongono alla malattia. Infatti, nonostante la medicina affronti le patologie con un approccio prevalentemente farmacocentrico, gli antidepressivi non hanno consentito un miglioramento tangibile dello stato di salute delle persone malate di depressione.
Va comunque constatato che, dal punto di vista fisiologico, alla base di uno stato depressivo si osserva tipicamente uno scompenso, a livello di sistema nervoso centrale, nella secrezione dei neurotrasmettitori.
Il sistema nervoso centrale è un centro di integrazione di stimoli che riceve impulsi dal mondo esterno e li integra e li traduce in modo da generare una risposta sensoriale o motoria. In questa complessa trasmissione di segnali, i neurotrasmettitori sono molecole che fungono da intermediari per passare le informazioni tra un neurone e un altro (a volte un neurone è collegato con migliaia di neuroni). A seconda del tipo di neurotrasmettitore implicato, avremo diverse risposte generalmente di tipo eccitatorio, dove l’informazione viene “amplificata”, oppure inibitorio, dove l’informazione viene “attutita”; molecole come adrenalina, noradrenalina, dopamina e serotonina, per citarne alcune, fanno parte della categoria dei neurotrasmettitori. La connessione tra disequilibri di queste molecole e depressione è stata stabilita intorno agli anni ’60 del secolo scorso.
Durante studi sull’attività di alcuni composti farmaceutici ad attività antistaminica, si è notato che questi miglioravano l’umore e lo stato depressivo. Da questa osservazione fortuita è iniziata una serie di studi che hanno confermato che questi farmaci influenzavano la disponibilità nel cervello di alcuni neurotrasmettitori. Parallelamente, il fatto che ci fosse un’altra classe di farmaci antidepressivi in commercio la cui attività si basava sull’inibizione della degradazione di alcune molecole neuroeccitatorie (IMAO, vedasi più avanti), ha dato sostegno all’ipotesi delle amine biogene [sostanze basiche dotate di gruppi amminici (-NH2); in fisiologia umana, le amine biogene quali l’adrenalina, la noradrenalina, la serotonina ecc. assumono una rilevante importanza in quanto sono implicate a livello di conduzione degli impulsi nervosi, nella regolazione chimica del comportamento ecc.]. In questa importante teoria si ipotizzava che la depressione fosse causata da uno squilibrio dei neurotrasmettitori eccitatori nel sistema nervoso centrale. Nonostante questa ipotesi sia stata proposta negli anni ’60, la base biologica della depressione non è ancora chiara e per molti questa ipotesi risulta semplicistica; attualmente si ritiene che accanto a una disfunzione nella secrezione di neurotrasmettitori ci possano essere anche problemi neuro-anatomici e metabolici di alcune aree del cervello. Inoltre fattori ambientali e psicologici giocano una componente chiave nell’eziologia della depressione.
Nell’ottica di una terapia farmacologica della depressione che, come ricordiamo, non deve rappresentare l’unica strada terapeutica, si utilizzano farmaci volti a ristabilire l’equilibrio dei neurotrasmettitori adrenalina, dopamina e serotonina.
NOTA: nella letteratura inglese, adrenalina e noradrenalina sono tradotti con epinefrin e norepinefrin, termini frequentemente usati negli episodi del famoso serial ER e in altri serial dello stesso genere.
I vari tipi di antidepressivi
Le categorie di antidepressivi sono:
- sali di litio
- antidepressivi triciclici
- inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO)
- inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI)
- inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SSNRI).
Vediamo ora brevemente il meccanismo d’azione di questi farmaci che ne distingue l’utilizzo.
I sali di litio
Il meccanismo d’azione dei sali di litio (principalmente come carbonato di litio e citrato di litio) è a tutt’oggi poco chiaro e si ritiene che esso influenzi la conduzione del segnale nervoso piuttosto che la disponibilità dei neurotrasmettitori. Esso è indicato per le forme di depressione maggiore e nei casi di disturbi bipolari associati a episodi maniacali. Secondo alcune ricerche il litio potrebbe avere una certa efficacia nel trattare le cefalee a grappolo.
Le terapie a base di litio non sono esenti da effetti collaterali talvolta anche pesanti; fra quelli più frequenti vi sono tremore alle mani, diarrea, vomito, aumento di peso e disfunzioni tiroidee. Una certa speranza, almeno da quanto si evince da studi su modello animale, è risposta nel salicilato di litio; questa forma alternativa di sale, secondo i ricercatori, potrebbe fornire un trattamento con migliori prestazioni riducendo al contempo gli effetti tossici del litio nella forme utilizzate fino a oggi.
Gli antidepressivi triciclici
È una categoria di antidepressivi molto ampia ed è storicamente la più importante. Entrano in questa categoria farmaci come imipramina, amitriptilina e nortriptilina. Questi farmaci inibiscono il riassorbimento della noradrenalina, un neurotrasmettitore strutturalmente molto simile all’adrenalina. Per capire il ruolo di questi farmaci è necessario immaginare che in seguito alla secrezione del neurotrasmettitore (lo spazio tra i due neuroni in cui si trova ora il neurotrasmettitore è denominato spazio intersinaptico) si innescano dei sistemi per riassorbirlo (ricaptazione o re-uptake). Questo fenomeno è necessario per evitare che il neurotrasmettitore permanga in questo sito per troppo tempo ed è un modo per controllare la durata dello stimolo. Negli stati depressivi, questo riassorbimento potrebbe essere troppo veloce e portare a un ridotto stato eccitatorio.
Purtroppo i neurotrasmettitori non sono coinvolti solo nella regolazione dell’umore, ma hanno anche altri ruoli al di fuori del sistema nervoso centrale tra cui la regolazione della salivazione e del battito cardiaco. Di conseguenza, molti di questi farmaci hanno notevoli effetti collaterali come tachicardia, stipsi e secchezza delle fauci.

Uno studio ripreso dal New York Times (metaricerca su 522 studi che hanno coinvolto 16.477 persone in totale, pubblicata su The Lancet, 2018) ha evidenziato che 21 antidepressivi funzionano, ma che i risultati sono modesti
Inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO)
Il meccanismo d’azione di questa categoria di antidepressivi è concettualmente simile a quello dei triciclici: si vuole aumentare la quantità di neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale. Mentre i triciclici bloccano la ricaptazione dei neurotrasmettitori, questi farmaci bloccano invece un enzima mitocondriale, la monoaminoossidasi, deputato alla degradazione dei neurotrasmettitori. L’effetto di questi farmaci è quindi un conseguente aumento dei livelli di serotonina, adrenalina e dopamina. Anche questi antidepressivi presentano notevoli effetti collaterali e non forniscono particolari vantaggi rispetto ai triciclici. Durante la terapia con questi farmaci, l’assunzione di cibi contenenti molecole metabolizzate attraverso la monoaminoossidasi potrebbe avere effetti sgradevoli: tra queste molecole va citata la tiramina, un’amina presente nei formaggi e nelle melanzane, che in soggetti in terapia con IMAO, non essendo propriamente metabolizzata, può scatenare crisi ipertensive anche letali.
Queste tre categorie sono rimaste le terapie d’elezione per la depressione fino alla scoperta dei più recenti SSRI e SSRNI di seconda generazione.
Inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI)
Gli inibitori della ricaptazione della serotonina seguono un meccanismo d’azione simile ai triciclici, ma hanno una struttura chimica diversa e sono selettivi per la ricaptazione della serotonina. Il meccanismo fisiologico secondo cui l’incremento della serotonina nel sistema nervoso centrale migliorerebbe la stato depressivo è ancora in discussione.
Gli SSRI approvati dall’ente statunitense FDA (Food and Drug Administration) sono:
- Citalopram (Celexa)
- Escitalopram (Cipralex, Lexapro)
- Fluoxetina (Prozac)
- Paroxetina (Paxil, Paxil CR, Pexeva)
- Sertralina (Zoloft).
Da tenere in considerazione una grave reazione avversa denominata sindrome serotoninergica, anche letale, in caso di associazione tra questi farmaci e IMAO o particolari farmaci contro l’emicrania che aumentano in modo drastico la quantità di serotonina circolante.
Inibitori selettivi di serotonina e noradrenalina (SSNRI)
Gli SSNRI sono farmaci che inibiscono la ricaptazione di serotonina e noradrenalina. I farmaci sono i seguenti:
- Venlafaxina (Effexor XR, Effexor)
- Desvenlafaxina (Pristiq)
- Duloxetina (Cymbalta)
- Milnacipran (Dalcipran in Portogallo; Ixel in Francia) usato per curare la fibromialgia
- Tramadolo (Tramal, Ultram), un oppioide
- Sibutramina (Meridia, Reductil), usato per diminuire l’appetito
- Bicifadina.
Questi antidepressivi necessitano di un paio di settimane prima di indurre positivi effetti terapeutici. Gli SSNRI hanno maggiore successo terapeutico e minori effetti collaterali rispetto agli altri farmaci antidepressivi prima descritti.
Il bupropione
Il bupropione, noto anche come anfebutamone, è un antidepressivo atipico appartenente alla famiglia dei catinoni sostituti o sintetici e delle amfetamine sostitute; è presente in commercio da diversi anni ed è uno dei pochi antidepressivi esenti da effetti negativi sulle funzioni sessuali. Nel nostro Paese il bupropione viene commercializzato come aiuto alla cessazione del vizio del fumo di sigaretta (Zyban) nella forma farmaceutica di compresse da 150 mg.
La molecola viene anche commercializzata come antidepressivo in compresse a rilascio modificato da 150 mg e 300 mg, con il nome di Wellbutrin ed Elontril; in particolare viene prescritto a quei soggetti che mostrano una depressione caratterizzata da eccessiva sonnolenza diurna e/o una risposta incompleta al trattamento con farmaci di prima linea, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina.
Il bupropione ha mostrato una certa efficacia anche nel trattamento del disturbo d’ansia sociale e dell’ansia associata alla depressione, ma non nel disturbo di panico con agorafobia.
Il suo potenziale ansiolitico è stata paragonato a quello della sertralina e della doxepina.
Conclusioni
È evidente che la percezione della realtà esterna agisce sul nostro tono dell’umore, comportando variazioni fisiologiche nel sistema nervoso. Tale percezione può essere reale o alterata da un nostro cattivo stato psicologico (pensiamo a chi è terrorizzato da un minuscolo topolino). Se uno stato depressivo sia causato solo da una patologia della neurotrasmissione o da difetti (psicologici) della propria personalità, è ancora un argomento di intenso dibattito non solo medico, ma anche filosofico.
Il fatto che le terapie farmacologiche con antidepressivi non abbiano gli effetti sperati nella risoluzione della depressione, oltre a ribadire la complessità del nostro sistema nervoso, farebbe intuire che ci sono diverse forme di depressione e che la nostra personalità ha un ruolo, se non predominante, almeno cruciale in molte di queste patologie. Pensiamo a come al giorno d’oggi, per ogni debolezza umana, nasca una patologia psichiatrica e di seguito il farmaco che la cura. La sindrome del Binge Eating (o sindrome da alimentazione incontrollata) è un esempio lampante.