La cannabis light (talvolta anche canapa light, erba light, o marijuana light) è un prodotto che da qualche tempo sta riscuotendo un notevole interesse nel nostro Paese, tant’è che stanno nascendo i grow shop, negozi specializzati in articoli e attrezzature per la coltivazione e il giardinaggio con un occhio di riguardo alla cannabis (alla fine del 2017 ne sono stati censiti oltre 400).
Innanzitutto, va precisato che nel nostro Paese l’unica cannabis autorizzata (salvo alcuni distinguo) è quella destinata a usi terapeutici (cannabis terapeutica) e la cui produzione è affidata per adesso allo Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze.
Va comunque precisato che le infiorescenze e i semi di cannabis che vengono venduti nei grow shop lo sono soltanto a scopo “collezionistico”; infatti, a parte i casi previsti dalla legge, la coltivazione della marijuana, anche se per usi personali, è reato e il business della vendita delle semenze a fini “collezionistici” (lo scopo sarebbe quello della conservazione della specie”) è lo stratagemma che serve ad ammantare tutto di una patina di legalità.
La cannabis light, invece, non ha scopi terapeutici, bensì “ricreativi”; ciò che probabilmente l’ha resa interessante e appetibile commercialmente è il fatto che in essa i livelli di THC (uno dei principi attivi alla base delle proprietà psicoattive della cannabis) sono inferiori ai limiti di legge (0,6%).
La produzione della cannabis light deriva da scarti della canapa che viene coltivata a fini industriali; tali residui vengono trattati opportunamente, confezionati e infine immessi sul mercato.
Il range d’età dei consumatori di cannabis light è piuttosto vasto (si va dai 18 ai 70 anni circa); ciò che il consumatore ricerca è l’effetto rilassante che non è tanto dato dal THC (presente in quantità piuttosto basse), ma dal CBD, il secondo cannabinoide più abbondante nella Cannabis sativa; si tratta di un metabolita non psicoattivo cui sarebbero attribuiti vari effetti (rilassanti, anticonvulsivanti, antinfiammatori; il condizionale è d’obbligo perché dipende sempre dalle dosi…).
La cannabis light viene consumata sia attraverso la preparazione di infusi sia sotto forma di sigarette. Sotto, trovate ulteriori informazioni che possono essere utili per completare la risposta alla domanda: che valutazione dare al consumo della cannabis light?
Cannabis light: valutazione scientifica
Secondo molti le basse quantità di THC renderebbero innocuo un prodotto come la cannabis light; dello stesso parere non è però lo psichiatra e ricercatore Marco Di Nicola (Policlinico universitario “A. Gemelli” di Roma” che spiega: “… affermare che i cannabinoidi sono innocui non è corretto. Se il principio attivo è basso e questo aspetto viene controllato possiamo aspettarci che non si verifichino effetti direttamente collegati al principio attivo“, ricordando però che la dipendenza verso una sostanza è dovuta a molti fattori, fra cui il grado di “vulnerabilità” che è prettamente individuale. Di Nicola ricorda anche che la coltivazione diretta può essere molto rischiosa: “In questo caso non è possibile esercitare un controllo sulle percentuali dei diversi principi attivi e il soggetto risulta esposto ad una maggiore tossicità“. È quindi azzardato ipotizzare la totale innocuità del prodotto, in particolar modo nel caso di utilizzi prolungati nel tempo.
Posizione pressoché identica è quella di Vincenzo Di Marzo, direttore dell’Istituto di chimica molecolare del CNR; in un’intervista alla rivista Wired, Di Marzo ha spiegato: “Il contenuto di THC dichiarato è effettivamente molto basso; … esiste però una forte variabilità individuale nella risposta alla sostanza, e una certa differenza legata alla modalità di assunzione, che rendono difficile dare una risposta univoca. Molto dipende inoltre da come si misura il contenuto di cannabinoidi. Nella pianta infatti non sono contenuti in forma attiva, ma in una non attiva, o carbossilata, che non produce effetti sul sistema nervoso. Il passaggio alla forma non carbossilata avviene con l’essiccamento e il riscaldamento, e quindi bisognerebbe essere sicuri delle percentuali di THC in forma attiva presenti al momento del consumo, che spesso prevede il riscaldamento della sostanza, per poter ipotizzare i possibili effetti sul sistema nervoso“. Il problema, infine, è che non esistono studi sulla farmacocinetica del THC è non è quindi possibile sapere in che modo il consumo ripetuto di cannabis light potrebbe influenzare l’organismo.
Cannabis light: valutazione esistenziale
Alcuni lettori, facendo riferimento alla legge 242, ci hanno chiesto un commento relativamente all’uso e alla commercializzazione della cannabis light a usi ricreativi. In realtà, il decreto non c’entra nulla con la commercializzazione di prodotti destinati al consumo “ricreativo”. Infatti, negli scopi del decreto tale punto non è presente; del resto il tasso di THC è così basso che i vari grow shop nati (e nascenti) in Italia sembrano un inganno per il consumatore; parlare di “cannabis light” con tassi che vanno dallo 0,2 allo 0,6% vuol dire che, da un punto di vista scientifico, l’effetto è in gran parte solo placebo, come l’effetto di una tisana alla camomilla. Da un punto di vista pratico sarebbe come chiamare caffè un espresso annacquato 20 volte con acqua e berne comunque una tazzina. Infatti, in uno spinello “normale” la percentuale di THC arriva al 13%, cioè in un g ne sono presenti 130 mg, non 6!
L’obiezione a questa osservazione potrebbe essere: “se non fa nulla che male c’è?” (a parte il danno al portafoglio del consumatore). C’è semplicemente il rischio che, una volta che il consumatore si accorge della scarsa efficacia, tenda a “concentrare” da sé il prodotto, incorrendo nella valutazione esistenziale di chi fa uso di droghe.
Inoltre, gli aspetti della normativa non sono del tutto chiari per cui è molto probabile che chi commercializza il prodotto incorra in “problemi”.
E comunque, se una persona, per rilassarsi, ha bisogno di ricorrere a una tisana alla cannabis light è già alla frutta…

La cannabis light, con soglie diverse di THC, è considerata legale in alcuni Stati fra cui l’Italia
A cosa serve la cannabis terapeutica
Uno dei primi utilizzi della cannabis terapeutica è stato quello nella terapia del dolore; il prodotto sembra avere una certa efficacia nel trattamento di dolori neuropatici (fuoco di Sant’Antonio, neuropatie, sciatalgia) e della fibromialgia; altri impieghi sono quelli nei soggetti affetti da diabete mellito, nei pazienti oncologici (contro la nausea da chemioterapia), in chi soffre di cefalea o emicrania (sostituisce i farmaci antidolorifici) e in coloro che sono affetti da malattie reumatiche (sostituisce il cortisone). Gli utilizzi comunque sono ancora piuttosto limitati.

Il trattamento con cannabis terapeutica può essere fatto per via orale, come decotto o assunzione di olio oppure per via inalatoria tramite specifici vaporizzatori.
La legge sulla coltivazione della canapa industriale
La legge 242 del 2 dicembre 2016 (entrata in vigore il 14 gennaio 2017) regola la lavorazione della canapa industriale.
Le novità che la legge ha introdotto sono essenzialmente 3:
- non sono più necessarie autorizzazioni per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di THC al massimo dello 0,2%. Gli obblighi principali per il coltivatore sono quello di conservare (per un periodo non inferiore a 12 mesi) icartellini delle sementi acquistate e quello di conservare le fatture di acquisto delle sementi per il periodo previsto dalla normativa vigente.
- La percentuale di THC nelle piante analizzate potrà oscillare dallo 0,2% allo 0,6%senza comportare alcun problema per il coltivatore. Gli eventuali controlli sulla regolarità del prodotto verranno effettuati da un soggetto unico e sempre in presenza del coltivatore; gli addetti al controllo sono tenuti a rilasciare un campione prelevato per eventuali controanalisi. Nel caso in cui la percentuale di THC dovesse superare la soglia dello 0,6%, l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione della coltivazione, ma anche in questo caso viene esclusa la responsabilità dell’agricoltore.
- Sono previsti finanziamentinell’ordine massimo di 700mila euro all’anno “per favorire il miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nel settore della canapa”.
Easy Joint
EasyJoint è il nome commerciale che in Italia viene dato alla cannabis light (ricordiamo che il termine inglese joint significa spinello); il prodotto è stato presentato nel 2017 all’Indica Sativa Trade, la fiera internazionale della canapa di Casalecchio di Reno (in provincia di Bologna).
Il basso limite di THC è controbilanciato, secondo i produttori dell’EasyJoint, dagli alti livelli di CBD.
Quella dello “spinello leggero” non è certamente un’idea rivoluzionaria; giunge infatti dalla Svizzera dove il consumo di cannabis light è cominciato da molto tempo (in terra elvetica sono disponibili confezioni simili a quelle del tabacco da rollare).
L’italiana EasyJoint è un’infiorescenza di cannabis della varietà Eletta campana, una pianta che è stata utilizzata in Italia fino agli anni ’30 del secolo scorso a scopi agroindustriali.