Un’annosa questione è quella relativa all’assunzione dei farmaci a stomaco vuoto o pieno. Al momento di assumere un farmaco, infatti, sono in molti a porsi la domanda “è meglio prima, dopo o lontano dai pasti?”. La domanda è lecita perché quando si assume un farmaco a stomaco pieno possono esserci interferenze di vario tipo con il cibo assunto, anche se, è opportuno precisarlo, nella stragrande maggioranza dei casi esse non sono tali da compromettere l’efficacia del trattamento e nemmeno da costituire un pericolo. È vero che al momento in cui il farmaco viene prescritto, il paziente dovrebbe essere stato informato sulle modalità di assunzione, ma a ben vedere, nella pratica quotidiana, ciò avviene raramente. E spesso non ci viene in aiuto nemmeno il “bugiardino”, il foglietto illustrativo che accompagna il farmaco.
Le interazioni fra alimenti e farmaci
Le interazioni fra alimenti e farmaci sono molte e, peraltro, possono essere anche molto complesse; difficile quindi in poche righe essere esaustivi sull’argomento (si veda il link corrispondente); purtuttavia possiamo provare a dare alcune indicazioni di carattere generale per cercare di chiarire perlomeno gli aspetti più significativi della questione.
Ovviamente le considerazioni che vengono riportate in questo articolo fanno esclusivamente riferimento alle somministrazioni per via orale (anche quella sublinguale non rientra nella questione perché il farmaco in questo caso viene direttamente assorbito per via ematica grazie alla nutrita vascolarizzazione della mucosa orale).
La possibilità più frequente è che i farmaci interagiscano con i cibi nel corso del transito comune nel tratto gastrointestinale.
In linea generale, l’assunzione di un farmaco a stomaco vuoto permette che gli effetti ricercati compaiano più rapidamente; gli alimenti, infatti, una volta che sono arrivati nello stomaco possono interferire con i farmaci in modo diverso a seconda delle loro caratteristiche.
Le sostanze liquide velocizzano il passaggio attraverso lo stomaco e, conseguentemente, contribuiscono a diminuire l’intervallo di tempo intercorrente fra assunzione del principio attivo e comparsa degli effetti; gli alimenti solidi, invece, agiscono nel modo contrario; essi, infatti, rendono più lento lo svuotamento gastrico e quindi riducono la velocità (e in alcuni casi anche la quota) di assorbimento di alcuni medicinali.

La più studiata interazione fra cibi e farmaci è quella fra il succo di pompelmo (che contiene due composti, la bergamottina e la 6,7-diidrossibergamottina, entrambi inibitori del CYP3A4) e il farmaco antipertensivo felodipina. L’interazione può aumentare i livelli ematici del farmaco fino a 4 volte; analoga interazione con lovastatina, ciclosporina, midazolam e altri farmaci
Il fenomeno è più marcato nel caso di alimenti molto caldi, viscosi e ad alto contenuto lipidico; va chiarito che non è detto che una ridotta velocità dell’assorbimento influisca sull’entità dell’azione terapeutica; seppur più lentamente, il farmaco verrà assorbito e quindi esplicherà i suoi effetti; vero è però che, in diversi casi, la velocità di assorbimento del farmaco non è questione secondaria; il riferimento è quelle situazioni in cui si ricerca una rapida riduzione della sintomatologia; il tipico caso è quello di quando si assume un analgesico; se il soggetto ha un fortissimo mal di denti o un gran mal di testa, non desidera altro che il dolore cessi il prima possibile.
Quando si assume un FANS, ovvero un farmaco antinfiammatorio non steroideo (diclofenac, ibuprofene, naprossene ecc.), è consigliabile farlo a stomaco pieno allo scopo di ridurre almeno in parte la loro gastrolesività; ovviamente si deve essere consapevoli che ciò andrà a discapito della velocità di azione. Quello che possiamo suggerire, quando si tratta di questa tipologia di farmaci, è di assumere la prima dose a stomaco vuoto bevendo però molta acqua; le dosi successive potranno essere assunte a stomaco pieno.
Esistono poi dei farmaci che è consigliabile assumere a proprio a stomaco pieno in quanto vengono assorbiti in modo migliore; ne sono esempi la griseofulvina (un antimicotico), la nitrofurantoina (un antibatterico), lo spironolattone (un diuretico).
I farmaci ACE-inibitori (usati per esempio per ridurre la pressione arteriosa e per l’insufficienza cardiaca) possono essere assunti a stomaco pieno, fatta eccezione per il captopril che invece deve essere assunto a stomaco vuoto. Si deve poi tenere presente che quando si assumono questi farmaci non si devono utilizzare nei condimenti i sostituiti del sale che sono a base di potassio; potrebbe infatti esserci il concreto rischio di iperkaliemia (concentrazione eccessiva di potassio nel sangue).
In certi casi, l’indicazione di assumere certi farmaci lontano dai pasti non è tanto legata a un’interazione diretta con i cibi assunti, ma al fatto che determinati farmaci sono particolarmente sensibili all’acidità gastrica; se il transito attraverso lo stomaco diminuisce a causa della presenza di cibo, il medicinale potrebbe non esplicare appieno la propria azione terapeutica (è il caso di alcuni medicinali appartenenti alla famiglia delle penicilline e dei macrolidi).
Talvolta i farmaci vanno assunti lontano dai pasti perché alcune sostanze che si trovano nei cibi possono ridurre o addirittura impedire il loro assorbimento; un esempio è rappresentato dalle tetracicline che vengono chelate (meno tecnicamente potremmo dire “intrappolate”) dal calcio presente nel latte o nei latticini oppure dal ferro, dal magnesio e dall’alluminio (tutte sostanze presenti in diversi alimenti) con la conseguenza che esse non sono più disponibili per l’assorbimento. La stessa cosa può dirsi anche nel caso dei chinoloni (una tipologia di antibatterici) il cui assorbimento può essere ostacolato dal ferro presente nel cibo o negli integratori.
I soggetti che seguono terapie con anticoagulanti orali devono fare attenzione a non assumere quantitativi elevati di cibi ricchi di vitamina K (cavoli, cavolini di Bruxelles, ceci, fegato di maiale, fegato di manzo, lattuga, spinaci ecc.); questo micronutriente, infatti, antagonizza l’effetto di tali medicinali diminuendone la capacità di mantenere fluido il sangue. Per approfondire si consulti l’articolo Anticoagulanti e alimentazione.
Degna di attenzione è l’interazione di alcuni cibi con i farmaci antidepressivi I-MAO (inibitori delle monoamino ossidasi); da tale interazione infatti possono scaturire reazioni di una certa gravità. Chi assume questa tipologia di antidepressivi deve assolutamente evitare gli alimenti ricchi di tiramina e di amine biogene (formaggi stagionati, pesce poco presto o conservato, salsicce, insaccati, selvaggina, vini rossi, birra, bevande fermentate, spinaci, lamponi, pomodori, crauti, melanzane, cavoli, cavolfiori, avocado, prugne, fichi, fave, tofu, tempeh, zuppa di miso, cioccolato, frutta secca e uva) perché potrebbero verificarsi seri problemi quali crisi ipertensive associate a cefalea, nausea, vomito, palpitazioni, alterazione dello stato di coscienza, irritabilità, aumento della temperatura corporea e ipersudorazione. Le restrizioni dietetiche devono restare valide per almeno tre settimane dalla sospensione del farmaco.
Farmaci e alcol
L’associazione fra alcol e farmaci può avere effetti imprevedibili e molto pericolosi e pertanto ANDREBBE SEMPRE EVITATA.
Il condizionale sparisce e l’associazione diviene assolutamente vietata nel caso in cui si stiano assumendo antistaminici, antidepressivi e tranquillanti (ansiolitici) perché l’alcol ne potenzia in modo deciso l’azione sedativa.
L’assunzione di alcol quando si stanno assumendo farmaci quali cefalosporine, metronidazolo e griseofulvina può dar luogo alla cosiddetta reazione Antabuse-simile, ovvero arrossamento di volto e collo, vomito, mal di testa e palpitazioni (la denominazione della reazione è legata al farmaco Antabuse, nome commerciale del disulfiram, un principio attivo utilizzato per la disassuefazione dall’alcol e che induce tali effetti).