L’espressione farmaci generici è comunemente utilizzata per fare riferimento a quei medicinali che oggi, forse più propriamente, gli addetti ai lavori e i documenti ufficiali definiscono farmaci equivalenti.
In questo caso particolare, la terminologia riveste una certa importanza dal momento che, come spesso precisano gli addetti ai lavori, il termine generico (dall’inglese generic) risulta poco adatto a dei medicinali in quanto ingenera negli utenti l’idea di farmaci ad azione generica, non specifica, cosa che non corrisponde assolutamente al vero in quanto tali presidi sanitari sono in realtà medicinali equivalenti, sia a livello qualitativo sia a livello quantitativo, ai farmaci di riferimento, ovvero praticamente identici ai cosiddetti “farmaci di marca” basati sullo stesso principio attivo.
Non aiutava a chiarire le cose la legge 549/95 che utilizzava la terminologia “medicinali generici” proprio per fare riferimento a specialità farmaceutiche con le stesse caratteristiche di farmaci di marca il cui brevetto (che garantiva l’esclusività della produzione a quelle aziende farmaceutiche che li avevano sviluppati) era scaduto. Proprio per evitare malintesi nella popolazione, nell’anno 2005 (legge 149) il termine “generici” è stato sostituito con “equivalenti”.
In questo articolo, dato il generalizzato uso di tutti e due i termini, li useremo indifferentemente entrambi.
Il concetto di bioequivalenza
La bioequivalenza è quella caratteristica che permette a una formulazione farmaceutica “generica” di rilasciare con le medesime modalità, frequenza e concentrazione lo stesso principio attivo di un medicinale di marca. In altre parole: due farmaci basati sullo stesso principio attivo possono essere definiti bioequivalenti quando la loro biodisponibilità è sovrapponibile, ovvero equivalente (ricordiamo che in ambito farmacologico con biodisponibilità si fa riferimento sia alla frazione di farmaco assunto che raggiunge la circolazione sistemica senza che esso subisca alcuna modificazione di tipo chimico rispetto al totale somministrato sia alla velocità con cui il medicinale è reso disponibile a livello sistemico).
Affinché un farmaco equivalente ottenga l’autorizzazione all’immissione in commercio (immissione che può avvenire soltanto dietro concessione da parte dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco) è necessario che vengano dimostrate sia la sua qualità che la sua equivalenza al farmaco originatore.
Di fatto, un farmaco originatore e il suo equivalente hanno lo stesso principio attivo, la stessa efficacia, la stessa sicurezza, lo stesso quantitativo di farmaco nella confezione nonché le stesse indicazioni e controindicazioni.
Farmaci generici: caratteristiche
Denominazione – Di solito, i farmaci generici vengono immessi in commercio con il nome del principio attivo seguito dal nome della società che lo commercializza (per esempio Nimesulide Actavis), tuttavia non è infrequente trovare farmaci generici che hanno nomi di fantasia (solitamente rimane una certa assonanza con la denominazione del principio attivo, per esempio, nel caso della nimesulide, Nimesil).
Aspetto e gusto – In alcuni casi, i farmaci generici si presentano con aspetto e gusto diversi rispetto a quelli del farmaco originatore; è bene precisare che ciò non ha la benché minima influenza sull’efficacia e sulla sicurezza del medicinale. Le diversità nell’aspetto e nel gusto sono legate agli eccipienti, ovvero a quelle sostanze che non svolgono alcuna azione terapeutica, ma sono utilizzate dalla casa produttrice per migliorare la stabilità, la conservazione e l’assorbimento del principio attivo.
I controlli – Per quanto siano trascorsi molti anni da quando i farmaci generici sono stati messi in commercio nel nostro Paese, c’è ancora una certa diffidenza verso questi medicinali. Molte persone infatti temono che, in termini di qualità, sicurezza ed efficacia, tali farmaci non siano veramente “equivalenti” a quelli di marca. È quindi opportuno ricordare che i farmaci generici possono essere messi in commercio soltanto previa valutazione dell’AIFA, l’ente che verifica che i farmaci generici abbiano gli stessi livelli di qualità, purezza e stabilità pari a quelli dei farmaci di marca; in particolare l’Agenzia Italiana del Farmaco verifica che le procedure di produzione e di controllo qualitativo del medicinale siano rispettose delle norme di buona fabbricazione (GMP, Good Manufacturing Practice). Peraltro, le aziende produttrici dei farmaci generici sono tenute a fornire una descrizione particolareggiata di tutte le fasi produttive del medicinale e l’AIFA vigila e controlla i siti di produzione accertandosi dei livelli qualitativi dei materiali e della produzione.
Anche l’ISS (Istituto Superiore di Sanità) persegue un programma di controllo sulla qualità dei farmaci generici.
I costi – Tutti sanno che i farmaci generici costano almeno il 20% in meno dei corrispondenti farmaci di marca (ma in diversi casi il prezzo al pubblico arriva a far risparmiare più del 50% all’acquirente). È bene sapere che il Sistema Sanitario Nazionale, tramite le Regioni, si accolla lo stesso prezzo sia per quanto riguarda i farmaci generici sia per quanto concerne i loro corrispondenti; la differenza di prezzo tra farmaco equivalente e il suo corrispettivo di marca è a carico dell’utente finale.
I minori costi di un farmaco generico sono essenzialmente dovuti al fatto che è scaduto il brevetto del principio attivo contenuto nel farmaco di marca, brevetto che consentiva la commercializzazione esclusiva del medicinale alla società farmaceutica che per prima lo aveva ideato. I brevetti farmaceutici durano generalmente 20 anni, un lasso di tempo ritenuto ragionevole per il recupero, da parte dell’azienda che ha sviluppato il farmaco, dei costi sostenuti per le ricerche necessarie per provare efficacia e sicurezza del principio attivo.
Nel momento in cui un brevetto di un farmaco scade, altre aziende farmaceutiche possono richiedere all’AIFA l’autorizzazione alla commercializzazione, con prezzo ribassato, del farmaco equivalente.
Nonostante i farmaci generici permettano un notevole risparmio di denaro pubblico e privato, nel nostro Paese l’utilizzo di questi farmaci è decisamente inferiore a quello registrato altri Paesi europei; recenti stime (fine 2016), infatti, parlano per quanto riguarda il nostro Paese di un mercato molto ridotto (12% circa), mentre in Germania, per esempio, i farmaci generici rappresentano il 70% dei farmaci utilizzati); negli USA siamo oltre l’80%. Negli ultimi anni sembra esserci stato un lieve cambiamento di tendenza, ma siamo ancora ben lontani da traguardi accettabili.

Nel 2019, nel canale farmacia, i generici-equivalenti hanno assorbito il 22,16% del totale del mercato a confezioni (fonte: Assogenerici).
Farmaci generici e obbligo di prescrizione da parte del medico
A partire dal 15 agosto 2012, nel momento in cui un medico si trova a prescrivere una terapia, egli ha l’obbligo di prescrivere il principio attivo del farmaco senza indicare la denominazione commerciale per quanto riguarda i soggetti trattati per la prima volta per una patologia cronica oppure per un nuovo episodio di patologia non cronica.
Nel caso in cui il medico voglia comunque prescrivere il farmaco di marca, ha la facoltà di farlo indicando una motivazione che spieghi l’insostituibilità di detto farmaco (devono esistere specifiche motivazioni cliniche contrarie); sulla ricetta, in questo caso, deve essere presente anche la dicitura: farmaco non sostituibile.
Il medico può invece continuare a prescrivere, senza aggiungere una motivazione, un determinato farmaco di marca nel caso di soggetti in terapia cronica.
Il farmacista deve consegnare all’acquirente il farmaco equivalente al prezzo più basso. Nel caso in cui l’acquirente voglia comunque continuare a utilizzare il farmaco di marca (o un farmaco generico a un prezzo più alto di quello del farmaco proposto) dovrà pagare la differenza tra il prezzo rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale e quello del farmaco suggerito.