Con aborto volontario, detto anche aborto provocato, si intende l’interruzione della gravidanza indotta con manovre mediche e viene effettuato principalmente per scopi terapeutici o motivazioni mediche, ma in molti casi anche per semplice intenzione da parte della donna (vedi legge n. 194 del 22/5/78).
Aborto volontario a fini terapeutici (aborto terapeutico)
Per quel che riguarda i fini terapeutici dell’aborto volontario, esso viene adottato allorquando il medico rilevi la presenza di condizioni morbose in grado di colpire la madre o il feto. Tra le cause più note che possono mettere a repentaglio la vita della donna vanno citate le gravi malattie cardiache, le malattie renali croniche, la tubercolosi polmonare, l’epatite acuta e le forme cancerogene che colpiscono la mammella o la cervice uterina.
L’embrione può invece essere colpito da gravi anomalie come l’anencefalia o le malattie cromosomiche come la sindrome di Down (patologie individuabili tramite vari tipi di esame quali, per esempio, ecografia, amniocentesi o prelievo dei villi coriali), che pregiudicano lo sviluppo, rendendolo in alcuni casi incompatibile con la vita.
Una giustificazione medica dell’aborto volontario si ha anche quando la donna contrae la rosolia: il virus che provoca tale malattia può infatti avere gravi effetti sul feto, soprattutto a occhi, orecchie e cuore. Anche per le donne colpite da AIDS è consentito l’aborto volontario perché tale sindrome è potenzialmente trasmissibile al figlio.
Alcuni distinguono fra aborto volontario e aborto terapeutico, dal momento che considerano il secondo non volontario, bensì dettato da esigenze mediche; è però pur vero che l’ultima decisione spetta sempre alla donna.
Aborto volontario – La legge 194
Nel nostro Paese l’aborto volontario è regolato dalla già citata legge 194/78 di cui trattiamo nell’articolo Legge 194 (legge sull’aborto); fatti salvi casi particolari, esso è possibile entro e non oltre i 90 giorni dal concepimento.
Per effettuare l’intervento di interruzione di gravidanza, la donna (o la minore, anche non accompagnato dai genitori se in possesso dell’autorizzazione di un giudice tutelare) deve presentare sia un certificato che attesti lo stato interessante, sia un documento che dimostri la volontà di abortire; da questo momento in poi (fatti salvi i casi di situazioni di urgenza) è necessaria un’attesa di sette giorni (periodo di tempo stabilito per legge per escludere qualsiasi possibilità di ripensamento); scaduto questo termine la donna può recarsi presso una struttura idonea e interrompere la gravidanza ricorrendo o all’aborto farmacologico oppure all’aborto chirurgico.
Aborto farmacologico
Nel caso di aborto farmacologico (detto anche aborto chimico) si ricorre in questo caso al mifepristone (più noto come RU-486). È un ormone steroideo che agisce, bloccandolo, sul progesterone, un altro ormone steroideo appartenente al gruppo degli ormoni progestinici che favorisce il mantenimento dello stato di gravidanza. L’efficacia del mifepristone è aumentata dall’associazione con una prostaglandina, il misoprostolo). L’aborto farmacologico prevede quindi l’assunzione di due farmaci; il primo è la pillola RU-486, il secondo, che viene assunto 48 ore dopo, è appunto il misoprostolo che ha il compito di provocare l’espulsione del materiale abortivo, espulsione che avviene tramite sanguinamento e contrazioni. L’aborto farmacologico non prevede il ricorso all’anestesia. Un uso corretto del metodo garantisce un’alta percentuale di funzionamento (circa il 95%). Se il metodo non funziona si deve ricorrere al raschiamento. Per approfondire: Mifepristone (RU-486).
Nel nostro Paese l’aborto farmacologico è possibile dal 10 dicembre 2009. Non è una pratica invasiva ed è solitamente preferibile (nel limite dei 49 giorni) all’aborto chirurgico.
Aborto chirurgico
L’aborto chirurgico (anche aborto strumentale) rappresenta nei primi 49 giorni di gravidanza un’alternativa all’aborto farmacologico; è invece l’unica possibilità di interruzione della gravidanza tra il 50mo e il 90mo giorno.
La tecnica attualmente più diffusa per l’effettuazione dell’aborto chirurgico è la cosiddetta isterosuzione; si effettua inserendo in utero una cannula sottile; questa è collegata a una pompa a vuoto e aspira l’embrione (feto) e l’endometrio.
Altra metodica chirurgica, sempre meno praticata, è l’intervento di dilatazione e revisione; la dilatazione viene effettuata sul collo dell’utero con una pinza molto sottile, mentre la revisione (anche raschiamento) coincide con la rimozione del materiale.
Sia nel caso di aborto farmacologico che nel caso di aborto chirurgico è previsto un periodo di ospedalizzazione che, salvo eventuali complicanze, ha una durata di un paio di giorni.

Una donna protesta contro la messa al bando dell’aborto in Polonia
Aborto volontario – Casi particolari
Come già accennato, vi sono casi particolari nei quali l’aborto volontario può essere effettuato dopo il 90mo giorno; di fatto le condizioni per cui ciò può avvenire sono soltanto due:
- se la continuazione della gravidanza o il parto mettono in serio pericolo la vita della donna;
- se subentrano complicazioni (malattie o malformazioni del nascituro) che possano costituire un grave pericolo per la salute fisica o psichica della gestante.
In questi casi, non è sufficiente il fatto che la paziente richieda l’interruzione della gravidanza; devono esserci motivazioni di natura terapeutica; la legge prevede quindi che uno specialista attesti queste motivazioni. Di norma si pratica questo tipo di interruzione tra la 22ma e la 24ma settimana di gestazione.
L’aborto viene provocato somministrando farmaci che inducano la dilatazione della cervice e le contrazioni (travaglio abortivo). Le possibilità che il feto sopravviva a questo tipo di intervento sono bassissime, ma non nulle. In quest’ultimo caso, la legge impone al medico l’obbligo di fare tutto ciò che è possibile per tenere in vita il nascituro.
Complicanze dell’aborto volontario
Se l’interruzione di gravidanza viene eseguita in condizioni ottimali (una clinica ben attrezzata oppure un ospedale) da un ginecologo esperto, le complicanze sono piuttosto improbabili. In meno dell’1% dei casi di aborto volontario si hanno casi di gravi emorragie o di infezione, che ha come effetto il cosiddetto aborto settico.
Secondo le statistiche, negli aborti eseguiti prima della 13a settimana la mortalità è inferiore a 1 su 100.000 e sale a 3 su 100.000 dopo questo termine. Aborti provocati ripetuti nel tempo possono accrescere il rischio di aborto spontaneo nelle gravidanze successive.
Aborto volontario – I casi di aborto illegale
Un discorso a parte meritano i casi di aborto illegale, più o meno frequenti a seconda delle regioni geografiche. I mezzi abortivi utilizzati per questa forma di aborto volontario variano molto, dalla somministrazione di sostanze ad azione tossica (zafferano, oleandro o anche veleni più potenti) a massaggi addominali sino all’introduzione nella cavità uterina di oggetti impropri (sonde, ferri da calza, penne) o di soluzioni a base di sapone o permanganato. Per le condizioni in cui sono eseguiti c’è il serio rischio che si verifichino gravi problemi come la perforazione dell’utero, l’avvelenamento, la sterilità o addirittura la morte della donna.