L’alopecia androgenetica (anche ereditaria), nota anche con altre terminologie che molti autori ritengono improprie quali alopecia seborroica, precoce o maschile, è la forma più comune di alopecia; non esistono studi ufficiali di notevole portata sul fenomeno, ma si stima che il problema interessi, nel corso della vita, una buona parte dei soggetti maschili adulti di razza caucasica e circa il 50% dei soggetti femminili; questa enorme diffusione è tale che sembra più che giustificato l’appellativo di calvizie comune.
L’alopecia androgenetica inizia generalmente a manifestarsi dopo i 30 anni (nel 50% circa dei soggetti il problema si presenta nel periodo di età compresa tra i 30 e i 40 anni), anche se nei casi più gravi tale condizione può esordire molto più precocemente.
Come detto, i soggetti di razza caucasica sono quelli maggiormente interessati dall’alopecia androgenetica; decisamente meno colpiti sono gli uomini di razza nera e soprattutto i cinesi e i giapponesi, in cui la calvizie è condizione molto poco comune.
Il numero decisamente elevato di soggetti di razza bianca interessati dall’alopecia androgenetica fa sì che alcuni autori ritengano quest’ultima non tanto una condizione patologica quanto, piuttosto, una condizione parafisiologica.
Le cause
Le cause della calvizie comune non sono perfettamente note, ma si ritiene siano fortemente legate a fattori di tipo ormonale e genetico tant’è che il termine androgenetica deriva dalla fusione del termine androgeni (gli ormoni maschili) con il termine genetico. L’ipotesi che viene ritenuta più attendibile è che la calvizie sia un messaggio genetico che necessita della presenza di ormoni androgeni; in effetti diversi studi hanno mostrato che in mancanza di ormoni androgeni, il fenomeno calvizie non può verificarsi (si vedano per esempio i casi di coloro che hanno subito la castrazione in età pre-puberale, dei soggetti che hanno subito un’operazione di orchiectomia a scopi terapeutici ecc.); l’alopecia androgenetica è presente invece nelle donne colpite da malattie ovariche e/o surrenaliche che provocano un innalzamento della produzione di ormoni androgeni oltre ad altri problemi quali irsutismo e disturbi a livello del ciclo mestruale.
È importante notare come spesso i livelli di ormoni androgeni nei soggetti affetti da calvizie non siano necessariamente elevati (molto frequentemente si osserva una riduzione del testosterone totale e un innalzamento della frazione libera di detto ormone); generalmente sono elevati i livelli di diidrotestosterone (DHT), un ormone derivato dalla trasformazione operata sul testosterone dall’azione dell’enzima 5-alfa-reduttasi. Sotto gli effetti del diidrotestosterone i capelli ricrescono sempre meno lunghi e più sottili fino ad arrivare al momento in cui essi non sono più in grado di ricoprire in modo adeguato il cuoio capelluto; si assiste cioè a una riduzione progressiva della fase di crescita dei capelli (la cosiddetta fase anagen), mentre si allungano il ciclo di involuzione (fase catagen) e quello di riposo (telogen) dei follicoli piliferi.
L’alopecia androgenetica comunque può riconoscere altre cause oltre a quella relativa all’incremento dell’attività follicolare dell’enzima 5-alfa-reduttasi, per esempio una riduzione delle proteine deputate al trasporto degli ormoni androgeni nel torrente ematico (SHBG – acronimo di Sex Hormone Binding Globulin) oppure una diminuzione degli enzimi deputati alla conversione del testosterone in estrogeni (le aromatasi follicolari).
Clinicamente, la manifestazione della calvizie comune è diversa a seconda del sesso. Negli uomini, per esempio, si osserva un diradamento progressivo della zona fronto-temporale, diradamento che è causa della caratteristica stempiatura, e della zona del vertice; nelle donne la calvizie è invece più pronunciata nel vertice e nella zona frontale; non viene invece interessata la zona temporale. Non è infrequente osservare l’associazione di calvizie comune e di seborrea e desquamazione furfuracea.
La classificazione dell’alopecia androgenetica secondo le varie scale
Esistono diverse scale che misurano l’estensione della calvizie. Le più note sono la scala Hamilton, la scala Norwood e la scala Ludwig.
La prima classificazione della calvizie (1951) viene fatta risalire a Hamilton; in base a essa si distinguono cinque stadi della condizione:
- stadio I: in questo stadio si rileva un arretramento simmetrico a livello fronto-temporale che può eventualmente essere seguito da un arretramento della linea frontale. Questo primo stadio non viene considerato un obbligatorio segnale di calvizie.
- Stadio II – Nel secondo stadio si rileva un’accentuazione dei segni che caratterizzano lo stadio precedente con un lieve arretramento a livello della linea frontale unito a un diradamento del vertice.
- Stadio III – In questo stadio le zone alopeciche anteriore e posteriore hanno la tendenza a confluire e si ha la persistenza di un’unica e stretta striscia di capelli.
- Stadio IV – Al quarto stadio si ha la definitiva alopecia sia a livello fronto-parietale sia a livello del vertice; permane una corona di capelli in sede temporo-occipitale.
- Stadio V – Lo stadio V è simile al precedente, ma la corona residua è di dimensioni più ridotte.
Diversi anni dopo, per la precisione nel 1975, Norwood modificò la classificazione di Hamilton operando una suddivisione dell’alopecia androgenetica in sette stadi; alcuni di questi stadi della calvizie risultano poi ulteriormente frazionati tant’è che, di fatto, si hanno le seguenti 12 suddivisioni:
- stadio I: in questo stadio rientrano i soggetti non affetti da calvizie.
- Stadio II: questo stadio è corrispondente allo stadio I proposto da Hamilton con il solo arretramento a livello fronto-temporale.
- Stadio IIa: corrisponde allo stadio precedente con l’aggiunta dell’arretramento della linea frontale.
- Stadio III: è corrispondente allo stadio I di Hamilton, ma si registra un arretramento a livello fronto-temporale più accentuato.
- Stadio IIIa: è corrispondente allo stadio precedente con l’aggiunta di un arretramento a livello della linea frontale.
- Stadio III vertex: questo stadio corrisponde allo stadio III o allo stadio IIIa con l’aggiunta di un diradamento del vertice; è molto simile allo stadio II della classificazione Hamilton.
- Stadio IV: in questo stadio si registra la permanenza di una striscia piuttosto larga di capelli situata fra le zone alopeciche anteriore e posteriore; corrisponde praticamente allo stadio III della scala Hamilton leggermente meno accentuato.
- Stadio IVa: in questo stadio è rilevabile un forte arretramento della linea dell’attaccatura anteriore; arretramento che si spinge pressoché fino alla linea (virtuale) che unisce la sommità delle orecchie; può esservi o no diradamento a livello della zona del vertice, ma è sempre assente la striscia dei capelli superstiti.
- Stadio V: questo stadio è di fatto uno stadio V più accentuato e corrisponde praticamente allo stadio III della scala Hamilton.
- Stadio Va: questo stadio è di fatto uno stadio IVa più accentuato e corrisponde praticamente allo stadio IV 4 di Hamilton leggermente meno accentuato.
- Gli stadi VI e VII corrispondono rispettivamente agli stadi IV e V della scala Hamilton.
Di fatto, utilizzando la scala Norwood, si inizia a parlare di calvizie vera e propria soltanto se si raggiunge lo stadio III vertex; gli stadi che infatti precedono quest’ultimo, oltre a essere presenti in molti soggetti di sesso maschile, non sempre progrediscono con l’avanzare degli anni e più che di calvizie, molti autori sono propensi a definire la condizione da essi rappresentata come alopecia fronto-parietale maschile di tipo fisiologico. Nell’immagine sottostante è visibile la rappresentazione grafica della scala Norwood.

Le varie classificazioni di alopecia androgenetica secondo la scala di Norwood
Alopecia androgenetica: la scala Ludwig
La scala Ludwig è una scala che classifica la calvizie femminile; è una scala molto semplice, decisamente meno articolata delle scale Hamilton e Norwood; essa suddivide la calvizie in soli tre tipi basandosi sull’intensità della calvizie stessa. I tre tipi che caratterizzano la scala Ludwig sono i seguenti:
- tipo I: si rileva un diradamento dei capelli sulla corona, non particolarmente accentuato e limitato a una linea situata pressappoco a 1-3 cm dietro la linea frontale.
- Tipo II: il diradamento dei capelli sulla corona è decisamente pronunciato ed è quindi ben visibile.
- Tipo III: si ha un diradamento molto accentuato su tutta la zona interessata nei tipi I e II.
La calvizie androgenetica più comune nelle donne è quella del tipo I; decisamente meno frequente è quella del tipo III.
L’immagine sottostante rappresenta le tre tipologie secondo la scala Ludwig.

Le varie classificazioni di alopecia androgenetica secondo la scala di Ludwig
La cura
I rimedi classici per l’alopecia androgenetica sono di tre tipi:
- estetico (ricorrendo al cosiddetto toupet)
- chirurgico
- farmacologico.
La cura farmacologica risulta di una certa efficacia soltanto quando la calvizie si trova nei primi stadi; ovvero quando essa non è particolarmente accentuata. I prodotti che sono utilizzati più comunemente sono minoxidil (lozione al 2%-5%) e finasteride (1 mg/die). La calvizie femminile non può essere trattata farmacologicamente perché la finasteride non è consigliabile e il Minoxidil sembra meno efficace.
Se i rimedi naturali possono essere utili in altre forme meno gravi di alopecia, se non altro per tamponare il processo, per quanto riguarda l’alopecia androgenetica si deve sottolineare la scarsa efficacia di prodotti naturali.
L’autotrapianto – L’impiego di capelli sintetici (di nylon) per i trapianti non ha portato a grossi risultati a causa delle reazioni infiammatorie con la formazione di granulomi da corpo estraneo (rigetto): il 20% circa dei capelli trapiantati cade, nonostante la terapia antinfiammatoria e cortisonica che il paziente è costretto a seguire. Con l’autotrapianto (indicato nella calvizie androgenica, ma inutile per altre malattie del cuoio capelluto, come l’alopecia cicatriziale) si asportano dalla nuca (o dalla zona dietro le orecchie) regioni di cuoio capelluto (10-20 cm per 2 cm circa) che, divise in tante unità follicolari, vengono reimpiantate (a una a una e non a ciuffi) nella zona calva (da 500 a 2.000 innesti con una percentuale di attecchimento del 90%). I segni dell’intervento sono minimi e scompaiono dopo pochi giorni. Il risultato dipende dalla bravura di chi esegue l’intervento: in teoria i risultati possono essere definitivi per tutta la vita anche se l’area trattata era molto estesa.
Le novità
La novità principale riguarda l’impiego di cellule staminali, che hanno già avuto un ottimo successo in ortopedia. Esistono diverse ricerche in tal senso, ma attualmente sono ancora limitate alcune dalla loro applicabilità all’uomo, altre dalla durata reale dell’operazione e dal costo (spesso superiore ai 2.000 euro), altre infine dal numero di follicoli che sono stati riprodotti. Sintetizzando, ricerche in vitro o su topi, attualmente non sono ancora utili, come pure quelle che riproducono a costi alti un centinaio di capelli che comunque potrebbero cadere secondo il ciclo di vita fisiologico, di fatto invalidando la terapia.