L’amniocentesi è forse la più nota tecnica invasiva di diagnosi prenatale (altre tecniche invasive sono, per esempio, la villocentesi, la funicolocentesi – anche cordocentesi – e la fetoscopia).
L’amniocentesi, nota anche come prelievo del liquido amniotico, è una procedura diagnostica che comporta il prelievo, tramite un ago sottilissimo, di una piccola quantità di liquido amniotico, un liquido (le cosiddette “acque” che circondano il feto proteggendolo dagli insulti esterni) contenuto nel cosiddetto sacco amniotico (amnios), una sacca membranosa che circonda l’embrione.
Le indagini cui viene sottoposto il liquido amniotico possono essere le più diverse a seconda degli scopi e del periodo di gestazione in cui si effettua. L’amniocentesi può così essere un valido sistema per individuare anomalie fetali (per esempio la sindrome di Down) o alcune anomalie cromosomiche, i disturbi legati al sesso (come l’emofilia), certe malattie metaboliche (tra tutte, la malattia di Tay-Sachs) e infine le anomalie legate allo sviluppo (come la spina bifida).
In alcuni casi l’amniocentesi è impiegata anche per valutare alcuni disturbi dell’embrione come la malattia emolitica del neonato e la sindrome di sofferenza respiratoria.
Amniocentesi – Rischi
Come nel caso di tutti gli esami invasivi, anche l’amniocentesi non è esente da rischi. Per circa tre decenni, il rischio d’aborto spontaneo legato all’esecuzione di un’amniocentesi è stato ritenuto dell’1% (Tabor A, Philip J, Madsen M. Randomised controlled trial of genetic amniocentesis in 4606 low-risk women. Lancet 1986;1:1287-9); adesso, però, studi più attuali mostrano che non vi sono differenze fra l’incidenza di aborto spontaneo, l’incidenza di natimortalità e l’incidenza di mortalità neonatale, fra gruppi di donne sottoposte ad amniocentesi e gruppi di donne che non eseguono tale procedura.
Uno studio relativamente recente (Giorlandino C, Cignini P, Cini M, Brizzi C, Carcioppolo O, Milite V, Coco C, Gentili P, Mangiafico L, Mesoraca A, Bizzoco D, Gabrielli I, Mobili L. Antibiotic prophylaxis before second-trimester genetic amniocentesis (APGA): a single-centre open randomised controlled trial. Prenat Diagn. 2009 Jun;29(6):606-12), eseguito su 36.247 soggetti ha mostrato che il rischio di aborto spontaneo nelle donne sottoposte ad amniocentesi previa profilassi antibiotica è bassissimo (0,031%).
La stragrande maggioranza degli autori, attualmente, ritiene che i rischi connessi all’amniocentesi siano essenzialmente legati all’esperienza degli operatori incaricati di eseguire la procedura.
Gli altri rischi legati all’esecuzione di un’amniocentesi sono l’infezione del liquido amniotico o una sua eccessiva perdita per rottura della membrana di protezione; anche in questi casi, comunque i rischi sono bassissimi.
I numeri in gioco indicano quindi che l’amniocentesi non può più essere considerata una tecnica diagnostica rischiosa.
Amniocentesi – Tecniche
Non esiste un’unica tecnica; attualmente sono tre le opzioni a disposizione della gestante:
- amniocentesi tradizionale di base
- amniocentesi con studio parziale del DNA
- amniocentesi con ampio studio del DNA e screening metabolico.
L’amniocentesi tradizionale prevede cariotipo tradizionale (valutazione dell’assetto cromosomico del feto); risposta rapida (48-72 ore) mediante QF PCR (una tecnica di biologia molecolare) per sindrome di Down (trisomia 21), sindrome di Edwards (trisomia 18), sindrome di Patau (trisomia 13); anomalie cromosomiche del sesso (sindrome di Turner, sindrome di Klinefelter); dosaggio delle alfa-feto proteine.
L’amniocentesi con studio parziale del DNA comprende, oltre ovviamente agli esami citati precedentemente, screening per il ritardo mentale (sindrome dell’X fragile), screening per la fibrosi cistica, screening per la sordità congenita/ereditaria, screening per la distrofia muscolare di Duchenne e per la distrofia muscolare di Becker.
L’amniocentesi molecolare con ampio studio del DNA tramite tecnica CGH Arrays e screening metabolico (nota anche con il termine improprio di superamniocentesi) è, delle tre, la tecnica più sofisticata e completa; comprende infatti la risposta completa entro 72 ore di cariotipo e più di cento malattie genetiche, lo screening per malattie metaboliche, tutti gli altri esami previsti dalle tecniche citate in precedenza e un’ulteriore conferma del cariotipo mediante tecnica citogenetica tradizionale dopo due settimane.
Un breve cenno va allo screening metabolico previsto dalla cosiddetta “superamniocentesi”; trattasi di un’indagine diagnostica che permette, attraverso uno specifico dosaggio biochimico, di ricavare informazioni sulla concentrazione di alcuni metaboliti che sono all’origine di decine di patologie metaboliche; questa indagine porta con sé importanti risvolti clinici perché consente, in vari casi, tramite opportuni approcci terapeutici (che possono essere alimentari o farmacologici) di evitare gravi danni neurologici che determinati errori congeniti determinano a partire dalla vita intrauterina. Le patologie metaboliche in questione colpiscono un bambino ogni 500 e la diagnosi in utero consente spesso di prevenire i danni attuando, come detto, accorgimenti di carattere nutrizionale e/o farmacologico nel corso della gestazione.
Amniocentesi – Quando farla?
Quando fare l’amniocentesi? L’esecuzione di questo esame viene proposta in diversi casi:
- età della gestante uguale o maggiore di 35 anni
- presenza di un’anomalia cromosomica in uno o in entrambi i genitori
- gravidanza a rischio a causa di incompatibilità madre-feto
- presenza di una patologia genetica in uno o più dei familiari dei genitori
- anomalie registrate nel corso di un’ecografia
- precedente nascita di bambino affetto da una patologia genetica
- gestante esposta a radiazioni o comunque a fattori noti come mutageni (determinati prodotti chimici o farmacologici).
L’esame viene proposto anche nel caso in cui la donna si sia sottoposta a un trattamento di procreazione assistita per infertilità maschile e anche nel caso che abbia contratto determinate patologie infettive (citomegalovirus, parvovirus B19 ecc.).
Nelle strutture pubbliche, le donne con età uguale o maggiore di 35 anni (in riferimento alla data presunta del parto) e quelle per le quali vi siano indicazioni previste dal protocollo nazionale, hanno diritto, previa consulenza genetica, all’esame gratuito.
Come si esegue un’amniocentesi
Generalmente l’amniocentesi per l’esame genetico si effettua tra la 16a e la 18a settimana di gestazione. Tramite l’ecografia si valutano l’età e la posizione del feto, la sede della placenta e la quantità di liquido amniotico.
Successivamente si procede inserendo un ago nel sacco amniotico, attraversando sia la parete dell’addome (la donna deve prima svuotare interamente la vescica) che quella dell’utero, evitando naturalmente di danneggiare il feto e la placenta.

Le statistiche dicono che una percentuale di 0.3-0.5% delle donne che si sottopongono ad amniocentesi vanno incontro a un aborto spontaneo nelle successive 48 ore
A
ll’ago, di lunghezza pari a circa 10 cm e con punta molto affilata, viene collegata una siringa e si prelevano circa 20 ml di liquido amniotico che viene depositato in provette idonee per la successiva analisi biochimica. L’intervento non richiede solitamente l’anestesia, se non nei casi di eccessiva ansia, e dura all’incirca una ventina di minuti.
Dopo il prelievo, l’area interessata viene protetta con una garza e la paziente può essere in grado di tornare a casa immediatamente, anche se i medici consigliano di riposare almeno per 24-48 ore, tenendo sotto controllo la temperatura corporea.
Amniocentesi – Riposo dopo l’esame
Nelle 24 ore successive al prelievo del liquido amniotico è raccomandato un riposo assoluto di 24 ore, riposo si intende la non ripresa delle attività lavorative nonché l’astensione dai lavori domestici, dall’accudire figli, dal sostenere pesi o fare sforzi di qualsiasi tipo. L’ideale sarebbe poter rimanere a letto oppure in poltrona per un giorno intero.
Amniocentesi – Risultati
Il prelievo sul liquido amniotico può fornire informazioni su molte possibili anomalie di tipo cromosomico o ereditario del feto, soprattutto se effettuata nella prima metà della gravidanza. Successivamente, i risultati che si hanno riguardano prevalentemente la condizione di maturità fetale e il suo stato di sviluppo. I parametri principali che vengono valutati nell’amniocentesi sono i seguenti:
- dosaggio della creatinina: l’aumento di questa sostanza riflette lo stato di sviluppo e di funzionalità del rene dell’embrione;
- dosaggio della bilirubina: questa molecola riveste la sua importanza nel segnalare casi di anemia emolitica per incompatibilità del gruppo sanguigno;
- rapporto lecitina/sfingomielina: si tratta di due sostanze che vengono emesse dagli alveoli polmonari del feto in via di sviluppo all’interno del liquido amniotico. L’aumento della lecitina indica il livello di maturazione polmonare, valutabile facilmente poiché il valore della sfingomielina resta costante. Questo indice assume grande importanza quando sia necessario ricorrere a un parto precoce, per valutare se il neonato sarà in grado di respirare autonomamente, evitando così la nota sindrome respiratoria da membrane ialine;
- dosaggio di alcuni ormoni steroidei: a seconda del tipo di ormone (prodotto dal feto oppure dalla placenta) è possibile analizzare lo stato di salute fisica dell’embrione (età e maturità) e la funzionalità placentare;
- esame delle cellule: uno degli aspetti più rilevanti dell’amniocentesi riguarda proprio questo test. Le cellule sospese nel liquido amniotico (elaborate dall’amnios, dalla cute del feto o dalle mucose degli organi a contatto con l’esterno) vengono infatti analizzate sia da un punto di vista morfologico che citochimico o immunologico (per esempio per valutare il gruppo sanguigno). Sono altresì utilizzate per indagini citogenetiche sulla struttura del DNA o per rilevare eventuali anomalie metaboliche ereditarie. I risultati che si ottengono possono essere molteplici: uno degli esami più diffusi è la coltura in vitro di queste cellule amniotiche per valutarne il cariotipo (identificazione di sindromi legate ad aberrazioni cromosomiche numeriche e strutturali), diagnosticando per tempo un’eventuale formazione di malattie cromosomiche come la già citata e, purtroppo, molto diffusa sindrome di Down.
Se l’esito dell’amniocentesi precoce è sfavorevole, soprattutto nei casi in cui viene obbligatoriamente prescritta per evitare possibili complicazioni al nascituro (per esempio precedenti malattie in ambito familiare di tipo cromosomico, genetico o malformativo oppure incompatibilità tra madre ed embrione), ove non sia possibile intervenire terapeuticamente, la madre può decidere di effettuare l’aborto terapeutico.