La cardioversione è una procedura medica che viene eseguita allo scopo di ripristinare il normale ritmo cardiaco (il cosiddetto ritmo sinusale) nei soggetti affetti da determinate tipologie di aritmia cardiaca.
Esistono due tipologie di cardioversione:
- elettrica
- farmacologica.
La cardioversione elettrica viene effettuato ricorrendo a un particolare strumento che eroga delle scariche elettriche sincronizzate, ovvero un defibrillatore esterno dotato di piastre manuali, che vengono posizionate da un operatore al momento dell’erogazione, oppure di piastre adesive che vengono solitamente poste a livello del torace e della schiena; la cardioversione elettrica può essere eseguita sia come procedura programmata, sia come procedura d’urgenza.
La cardioversione non deve essere confusa con la defibrillazione, anche se le due procedure hanno punti in comune. La defibrillazione è un intervento che ha sempre carattere d’urgenza (solitamente vi si ricorre in caso di fibrillazione e tachicardia ventricolari insorte in modo molto rapido e che hanno causato un arresto cardiaco) e che viene messo in atto per far “ripartire il cuore”; le scariche elettriche erogate in caso di defibrillazione sono poi più intense rispetto a quelle utilizzate nella cardioversione che è una procedura generalmente programmata e il cui scopo è quello di “riaggiustare” il ritmo sinusale.
La cardioversione farmacologica è invece una procedura che si avvale dei cosiddetti farmaci antiaritmici che possono essere somministrati per via endovenosa o per via orale.
Quando si ricorre alla cardioversione?
Di norma si ricorre alla cardioversione nel caso di fibrillazione atriale, flutter atriale (una forma di aritmia sopraventricolare), tachicardia sopraventricolare (parossistica e no) e tachicardia ventricolare con polso (vedasi l’articolo Tachicardia per i dettagli). Di norma la procedura di cardioversione viene programmata con largo anticipo così da permettere allo specialista di richiedere tutti gli accertamenti clinici che ritiene opportuni.
La valutazione sulla scelta della tipologia di cardioversione (elettrica o farmacologica) da effettuare è di stretta competenza del cardiologo che deciderà in base a vari criteri (gravità della patologia, condizioni generali di salute, età ecc.). Se lo specialista ritiene che non vi siano particolari problemi nell’adottare l’una o l’altra forma, starà al paziente decidere quale preferire; spesso i pazienti optano per la cardioversione farmacologica probabilmente perché la ritengono meno pericolosa e meno dolorosa.
Cardioversione farmacologica
Questa forma prevede la somministrazione di farmaci antiaritmici; questi non sono tutti uguali perché differiscono nel meccanismo d’azione. Ne esistono cinque classi. I vari meccanismi d’azione di questi farmaci, classe per classe, sono dettagliatamente descritti nel nostro articolo Antiaritmici al quale rimandiamo; qui ci limitiamo a ricordare alcuni dei principi attivi più noti: chinidina, procainamide, propranololo, metoprololo, esmololo, amiodarone e bretilio, diltiazem, verapamil, adenosina, digossina e magnesio solfato.
Una volta somministrato il farmaco si eseguiranno controlli elettrocardiografici per verificare che la risposta al trattamento sia idonea. Se non si riscontrano problemi, il cardiologo stilerà un piano di mantenimento; se la terapia di mantenimento è ben tollerata può essere effettuata vita natural durante; se invece, l’assunzione continuativa del principio attivo antiaritmico dovesse creare disturbi di vario tipo, la cura deve essere interrotta ed eventualmente sostituita.
Cardioversione elettrica
La cardioversione elettrica è una procedura più complessa di quella farmacologica. Deve essere eseguita in anestesia generale. Una volta sedato il paziente si procede con l’erogazione delle scariche elettriche tramite il defibrillatore collegato al paziente tramite degli elettrodi. L’intensità delle scariche elettrica è decisa dal cardiologo e dipende essenzialmente dal tipo e della gravità del disturbo cardiaco. Durante l’erogazione delle scosse elettriche il paziente è continuamente monitorato con un apparecchio elettrocardiografico; grazie a questo monitoraggio il cardiologo controlla l’evoluzione del trattamento e può, a seconda della risposta, apportare eventuali modifiche al livello di intensità delle scariche.

Il cuore è l’organo interessato dalla cardioversione, una procedura terapeutica che può essere farmacologica o elettrica
L’intervento non dura moltissimo tempo; di norma bastano pochi minuti. Se non insorgono complicazioni non è necessario un ricovero ospedaliero, anche se il paziente non verrà dimesso immediatamente perché è opportuno monitorarlo una o due ore.
Al paziente verranno poi somministrati dei farmaci anticoagulanti (questo a prescindere dal fatto che prima dell’intervento il cuore presentasse o no dei coaguli sanguigni al proprio interno).
Di norma vengono prescritti anche dei farmaci antiaritmici sia a scopo preventivo sia per consolidare gli effetti ottenuti con la cardioversione elettrica. Spetta al cardiologo decidere se e quando sospendere questa terapia farmacologica.
Come tutte le procedure mediche anche la cardioversione non è esente da rischi. Potrebbero verificarsi distacchi di coaguli sanguigni (per questo di norma si somministrano farmaci anticoagulanti), anormalità del ritmo (l’eventualità è rara, ma può succedere che si rimedi a un determinato tipo di anomalia e se ne generi un’altra diversa), ipotensione arteriosa (di solito questo problema ha carattere transitorio).
Un inconveniente della cardioversione elettrica è rappresentato dalle bruciature sulla pelle causate dagli elettrodi che trasmettono le scariche elettriche.