Il DRIA è un test italiano (creato da A. Speciani, P. Gianfranceschi e G. Fasani) per la determinazione delle intolleranze alimentari. Come gli altri test sulle intolleranze è non convenzionale, ma gli autori hanno tentato di dargli credibilità presentando risultati a numerosi congressi medici a partire dal 1994. Peccato che tali risultati non siano mai stati ripetuti da gruppi indipendenti di controllo.
Il test è stato praticamente accantonato anche dagli stessi ideatori dopo aver verificato negli anni che non c’è stata “la piena accettazione all’interno della comunità medico/scientifica”; è però utile conoscerlo per capire come test non convenzionali possano attrarre un gran numero di persone spesso desiderose di affibbiare all’alimentazione i problemi invece derivanti da stili di vita non corretti.

Il latte è uno degli alimenti più sotto accusa per le intolleranze alimentari.
In realtà, il test DRIA non fa altro che riprendere (con strumentazione opportuna) il test proposto dal kinesiologo Goodheart nel 1964. Già le basi della kinesiologia classica sono poco credibili, ma il test nella sua formulazione originaria era veramente molto rozzo perché l’operatore pretendeva di misurare la diminuzione della forza del muscolo deltoide del soggetto semplicemente contrastando il movimento del braccio dopo aver somministrato la sostanza da testare. Alla base del DRIA c’è lo sforzo di rendere oggettivo, ripetibile e scientificamente dimostrabile il riflesso di variazione di forza muscolare in presenza di un’ipersensibilità alimentare. Il paziente è seduto su un’opportuna sedia che consenta il mantenimento della posizione corretta; si lega la caviglia a una cinghia collegata a una cella di carico e a un computer e si chiede al paziente di eseguire uno sforzo pari a circa il 50% dello sforzo possibile del quadricipite femorale dopo avergli somministrato con modalità sublinguale alcune gocce del preparato relativo al cibo da testare.
A questo punto ci si potrebbe fermare e rigettare il test – Come può un soggetto normale spingere con il 50% della propria forza? Come può sapere qual è il 50%? E se pure imbroccasse una volta, sarebbe in grado di rifarlo per n volte? Quindi se il valore di partenza è sballato, che senso ha parlare di apprezzamento di variazioni rispetto a questo valore?
Andiamo comunque avanti. Durante la contrazione, si pone a contatto della mucosa orale un’opportuna soluzione di alimento. Si testano di seguito 30-40 alimenti, inalanti, micofiti, conservanti, additivi e coloranti. Se il computer registra una caduta di forza (superiore al 10% dello sforzo) che compare pochi secondi (da tre a cinque) dopo la somministrazione dell’alimento, si sospetta la presenza di una ipersensibilità alimentare non IgE mediata nei confronti dell’alimento testato. Prima di decidere sull’intolleranza, si ripete la prova con lo stesso alimento e la si confronta con un placebo (sicuramente inerte) all’insaputa del paziente.
Vantaggi – Dalla scheda del DRIA sono ovvi i vantaggi:
- Doloroso: No.
- Effetti collaterali: nessuno.
- Durata: 60-90 minuti. Controllo successivo dopo 40-60 gg. solo sulle sostanze non tollerate o dubbie.
Svantaggi – Gli svantaggi sono tutti quelli dei test non scientifici:
- non sensibile, non specifico, tipologia e quantità degli alimenti.
- Costo: 150-250 euro.
- Non può essere utilizzato per soggetti in giovane età.
I problemi teorici del DRIA test
Per le cause generali che possono intaccare l’affidabilità rimandiamo all’articolo sulle intolleranze. Altri motivi di perplessità risiedono nel test stesso. Vediamoli.
La caduta di forza – Secondo gli ideatori del test, viene rilevata una caduta del 10% nella forza. Poiché ciò avviene con una frazione di grammo della sostanza assunta dal soggetto sotto la lingua, l’assunzione lenta di 10 g della sostanza stessa dovrebbe produrre evidenti disastri in un atleta di una prova di resistenza (il 10% della forza è tantissimo!). In realtà ciò non accade. Se la caduta fosse minima non si capisce come distinguerla dagli “errori sperimentali” o dai fattori non voluti (vibrazioni della gamba, stanchezza muscolare, distrazione ecc.).
La definizione stessa di intolleranza – Per i sostenitori delle intolleranze le allergie danno una reattività immediata, mentre nelle intolleranze i fenomeni sono “più lenti e insorgono dopo ore o addirittura giorni dall’introduzione dell’alimento”. Ciò contraddice la risposta immediata del DRIA.
I problemi pratici del test
L’esperienza personale – Test DRIA effettuato da uno dei massimi esperti italiani del settore. Risultato intollerante al lievito, ho dato un’occhiata alle curve delle varie sostanze, non rilevando significative differenze fra curva del lievito e altre curve che avevano mostrato flessioni. Liquidato con un “occorre una sensibilità medica, è come leggere un elettrocardiogramma, ci vuole una sensibilità particolare che deriva dall’esperienza per captare i picchi negativi (ma quali?)”, avrei voluto rispondere che nel valutare una curva un ingegnere è mediamente molto più attendibile di un medico. Mi astengo dalla polemica e il giorno stesso ho voluto fare una prova esaustiva.
Allenamento consistente in 6×1000 m con 1’30” di recupero da fermo, un classico. Tempi soliti: 3’24”-3’25”. Pranzo a base di lieviti, chi più ne ha più ne metta. Fra una ripetuta e l’altra un cucchiaino di lievito di birra. Media finale: 3’22” e rotti, mai fatto un allenamento migliore. Secondo la teoria alla base del test DRIA avrei dovuto perdere gran parte della mia forza!
Purtroppo le intolleranze sono una semplicistica spiegazione a nostri malesseri (stanchezza, emicranie, piccole allergie ecc.). In molti casi il miglioramento è dovuto semplicemente al fatto che il soggetto impara a curare meglio la sua alimentazione.