L’enuresi (dal greco en-ourein, letteralmente “urinare dentro”) è un tipico problema dei bambini d’età compresa tra i 5 e i 10 anni che consiste nell’incapacità di controllare la propria vescica, finendo così per bagnare il letto o i vestiti.
Il fare la pipì a letto è un problema piuttosto comune e non preoccupante nei bambini che hanno un’età inferiore ai 5 anni (in essi non è ancora sviluppata pienamente la controllabilità involontaria della vescica e si può quindi parlare di enuresi fisiologica), ma quando si oltrepassa tale limite di età il problema assume contorni patologici.
La prevalenza del problema varia con l’età, stime recenti parlano di percentuali oscillanti tra il 10-15% nei bambini di sei anni per poi scendere all’1% circa nella popolazione adulta (dallo 0,8 al 3% nei ragazzi tra i 15 e i 20 anni e dallo 0,5 all’1% negli adulti). Si ritiene che circa il 14-15% dei soggetti guarisca spontaneamente ogni anno fino ai 9 anni di età, mentre il 16% all’anno dai 10 anni in poi.
Il disturbo interessa maggiormente i soggetti di sesso maschile nel range di età dai 5 ai 12 anni, mentre negli adolescenti le percentuali di maschi affetti da enuresi sono sostanzialmente le stesse di quelle dei soggetti di sesso femminile.
Il rischio di soffrire di enuresi è del 77% nel caso in cui entrambi i genitori ne abbiano sofferto; se solo uno dei genitori ha sofferto di tale disturbo, il rischio scende al 44%.
In alcuni casi l’enuresi è associata a encopresi (emissione involontaria e inconsapevole di feci).
Classificazione
Nel caso in cui la perdita involontaria di urine non abbia correlazioni con altre malattie si parla di enuresi essenziale; nel caso in cui essa sia invece associata a patologie a carattere urologico, neurologico o metabolico, appare più corretto parlare di incontinenza urinaria.
La principale classificazione dell’enuresi essenziale distingue fra primaria e secondaria.
Si ha enuresi primaria nel caso in cui il soggetto non abbia mai smesso di bagnare il letto o i vestiti, mentre si parla di enuresi secondaria nel caso in cui il problema si presenti in un soggetto che aveva raggiunto e mantenuto per un periodo di almeno 4-6 mesi un adeguato controllo della continenza urinaria. La forma secondaria si manifesta generalmente in bambini di età compresa fra i 5 e gli 8 anni.
L’enuresi essenziale può essere distinta anche in monosintomatica (la sintomatologia è esclusivamente notturna) e con sintomatologia minzionale diurna associata); alcuni autori considerano queste due tipologie di enuresi come due entità ben distinte fra loro, altri, al contrario, le riconoscono come unica entità con patogenesi multifattoriale.
Un’ulteriore classificazione del disturbo è quella che distingue fra enuresi continuativa ed enuresi a intermittenza.
L’enuresi notturna
Un’altra distinzione ricorrente è quella fra enuresi notturna ed enuresi diurna; nel primo caso il problema si manifesta soltanto durante il sonno (generalmente il bambino bagna il letto nel corso delle prime tre ore di sonno e la minzione è spesso accompagnata da un sogno evocativo); nel secondo caso, invece, il problema si presenta nelle ore di veglia; la forma diurna è molto meno frequente di quella notturna, è tipica dei nove anni di età ed è mediamente più frequente nei soggetti di sesso femminile. Esiste anche una forma mista: enuresi notturna e diurna.
Le cause
Sebbene in passato fosse diffusa l’idea che l’enuresi dipendesse da problemi di ordine psicologico, oggi è noto che alla radice dello sviluppo della patologia sussiste quasi sempre una componente ereditaria: (come si è visto in precedenza, il rischio di soffrire di enuresi è molto più elevato quando in famiglia uno o entrambi i genitori sono stati affetti da tale disturbo) ed è stato inoltre possibile individuare specificatamente i cromosomi coinvolti nell’origine dell’enuresi (il possibile locus del gene dell’enuresi familiare, ENUR 1, è in un tratto del cromosoma 13; altri cromosomi che sembrano coinvolti sono l’8 e il 12).
Le cause principali in grado di provocare enuresi possono essere molto varie, come la presenza di malattie urinarie o di una vescica ipersensibile o limitata, la maturazione ritardata dei meccanismi nervosi che regolano le funzioni vescicali o la ridotta secrezione dell’ormone antidiuretico (ADH).
Scarso rilievo rivestono invece le cause di tipo psichico o altri fattori meno importanti come le allergie alimentari o la stipsi. Una delle cause più note è la poliuria notturna, ossia la caratteristica di alcuni bambini di produrre maggiori quantità di urina (peraltro più diluita) durante la notte. La poliuria è conseguenza della ridotta produzione di ADH durante le ore notturne, ma i fattori che la influenzano riguardano inoltre il metabolismo diuretico di alcune sostanze come il calcio, il sodio, il potassio e le prostaglandine.
In alcuni casi l’enuresi è dovuta ad alterazioni della funzionalità vescicale, in particolare nelle fasi di riempimento e di svuotamento della vescica. In altri casi si possono presentare problemi di iperattività vescicale latente e prevalentemente notturna. Infine, un altro aspetto noto e associato a fenomeni enuretici riguarda il cosiddetto “disturbo del risveglio”, vale a dire la difficoltà riscontrata in numerosi bambini affetti da enuresi di svegliarsi quando sottoposti a stimoli sonori o di diversa natura. In questi casi la distensione della vescica, segnale evidente della necessità del suo svuotamento, non viene avvertita dall’enuretico a causa del sonno profondo.
Diagnosi di enuresi
Secondo il celeberrimo DSM IV (la quarta revisione del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), si parla di enuresi in presenza di un’emissione ripetuta di urine durante il giorno o la notte nel letto o nei vestiti. La diagnosi di enuresi richiede che tale comportamento si presenti frequentemente (più precisamente viene definito enuretico il soggetto che bagna il letto 2 volte per settimana per 3 mesi consecutivi dopo i 5 anni di età) e non sia legato o a una condizione medica di carattere generale oppure all’assunzione di determinate sostanze.
Sicuramente, al primo approccio con il bambino sofferente di enuresi è necessario valutare la familiarità per enuresi; non mancheranno poi altri accertamenti di tipo clinico e strumentale.
Rimedi dell’enuresi: le terapie comportamentali
Innanzitutto bisogna sempre tener conto che il bambino non è in grado di risolvere autonomamente il problema e che soprattutto non ne ha nessuna colpa. Un primo aspetto deve vertere sul non responsabilizzare il bambino, tranquillizzandolo e spiegandogli il problema. Non serve a nulla costringerlo a ridurre l’assunzione di liquidi serali o svegliarlo di notte per fargli fare la pipì: questo ne impedirebbe anzi la crescita e la guarigione spontanea.
In individui più grandi (6-7 anni) si può in certi casi intervenire insegnando alcune misure dietetiche e comportamentali o una corretta regolarità urinaria (andare in bagno ogni 3-4 ore e prima di andare a dormire). Tra i possibili interventi diretti a migliorare l’enuresi, esistono alcuni esercizi volti a ottenere una maggiore resistenza vescicale. È possibile, per esempio, insegnare al bambino a trattenere l’urina per un certo periodo o a interrompere la minzione per poi completarla dopo pochi secondi, con lo scopo di renderlo più autonomo nel controllo della vescica.
Viene infine utilizzata una terapia con allarmi periodici (ma solo in bambini con un’età superiore ai 7 anni), sonori o con vibrazione, non molto amata, ma sicuramente la più efficace stando alle percentuali di guarigione (circa il 70% di chi ne ha fatto uso).
Le terapie farmacologiche per l’enuresi
Per combattere l’enuresi si può ricorre ad alcuni farmaci sintetici come la desmopressina, che agisce prevalentemente riducendo la produzione di urina, aumentandone conseguentemente la concentrazione a livello dei tubuli distali e la ritenzione dei fluidi. Generalmente si tratta di uno spray o di compresse che devono essere somministrate al bambino prima di andare a letto e che danno buoni risultati nel medio termine su circa il 70% dei pazienti, anche se andrebbe evitata da parte di chi soffre di ipertensione, problemi circolatori o patologie cardiache. Solitamente il suo impiego non comporta alcun disturbo, anche se si sono verificati rari casi di cefalea, nausea e dolori all’addome.
Nei casi di iperattività vescicale è possibile impiegare farmaci ad azione miorilassante come l’ossibutinina, che ha effetto anticolinergico e antispastico, ma che può tuttavia provocare secchezza delle fauci, stipsi e sonnolenza. Infine esistono in commercio alcuni farmaci sintetici analoghi dell’ADH, utili per chi soffre di enuresi monosintomatica, soprattutto nei casi in cui sia associata a poliuria notturna.