L’ipocondria è un disturbo psichico che in diversi casi può minare seriamente la qualità della vita di una persona e, spesso, anche quella dei suoi familiari.
Il soggetto ipocondriaco si caratterizza per la sua costante apprensione per la propria salute e per la paura, del tutto infondata, di essere affetto da una patologia più o meno grave, se non addirittura incurabile; tale paura non è però fondata su un dato oggettivo, ma sull’errata interpretazione di alcuni segni o sintomi. La paura di essere affetto da una patologia di una certa gravità finisce, con il passare del tempo, per condizionare negativamente l’esistenza della persona, sia in ambito familiare, che negli ambiti lavorativo e sociale.
Nei casi più severi di ipocondria, il soggetto arriva a sperimentare un fortissimo senso di frustrazione se non addirittura di depressione; molti, com’è facile intuire, arrivano ad assumere farmaci in modo del tutto improprio ed esagerato.
La diffusione del problema non è nota; alcune fonti ipotizzano che l’ipocondria interessi circa l’1-5% della popolazione, ma non si hanno certezze in questo senso.
Solitamente il problema colpisce gli individui adulti (in particolar modo coloro che si trovano nella fascia di età compresa tra i 40 e i 50 anni), ma non mancano casi di persone più giovani che soffrono di questo disturbo (talvolta l’ipocondria si sviluppa nella fase di passaggio tra età adolescenziale ed età adulta). L’ipocondria sembra colpire uomini e donne senza particolari distinzioni.
In diversi casi, una preoccupazione eccessiva per la propria salute è legata a un fatto specifico (malattia grave sospettata o diagnosticata al soggetto stesso o una persona cara) e si risolve nell’arco di alcune settimane o mesi, una volta elaborata e superata la fase critica; l’ipocondria vera e propria però ha la tendenza a persistere per tutta l’esistenza del soggetto; si tratta infatti di un disturbo complesso e di non facile trattamento.
Esistono casi in cui l’ipocondria si manifesta saltuariamente (e, secondo alcuni autori, non sarebbe corretto parlare di ipocondria), altri in cui chi soffre di ipocondria ha un’attenzione costante allo stato del proprio corpo poiché ha trasferito su di esso altri problemi più interiori.
Secondo alcuni questa continua preoccupazione abbassa la soglia del dolore e quindi aumenta la sintomatologia che a sua volta innesca con una reazione a catena ulteriori preoccupazioni salutistiche.
In realtà, molti ipocondriaci hanno una soglia del dolore abbastanza normale ed è un errore classificare ipocondriaci solo individui affetti da una difficile situazione psicologica (come si tende a fare in campo psichiatrico).
Una definizione più corretta di ipocondria è
l’apprensione assolutamente immotivata o spropositata per la propria salute.
Si potrà poi distinguere fra un’ipocondria cronica (che perdura nel tempo da un certo punto in poi della propria esistenza) e una acuta.
Le cause dell’ipocondria
A tutt’oggi, le cause dell’ipocondria non sono state ancora definite con chiarezza; sono stati però individuati alcuni fattori di rischio fra i quali vanno soprattutto ricordati:
- convivenza con un soggetto affetto da ipocondria;
- convivenza con un soggetto (in genere il genitore o il coniuge) che si preoccupa eccessivamente per la salute del suo caro;
- soffrire di un disturbo d’ansia;
- conoscenza di persone (solitamente familiari, ma anche amici stretti) affetti da una patologia grave;
- morte di una persona cara (familiare, amico ecc.);
- aver sofferto in età giovanile di una patologia di una certa gravità;
- trascuratezza da parte dei genitori nell’infanzia e nell’età adolescenziale;
- convinzione che stare bene significhi non provare mai alcun fastidio fisico o nessun malessere.
Giocano sicuramente un ruolo importante nello sviluppo dell’ipocondria la propria personalità, il carattere e le esperienze di vita.

L’ipocondria: circa 4 milioni di italiani soffrono di questo disturbo “d’ansia da malattia”
Ipocondria: quando il medico “non capisce”
In alcuni casi, un rapporto non ottimale con il proprio medico curante, sospettato di non prestare la giusta attenzione al problema posto dal paziente, può rappresentare un elemento che favorisce lo sviluppo del disturbo; se può essere vero che, in alcuni casi, il medico non riesca a cogliere adeguatamente il disagio del suo assistito, è altrettanto vero che il soggetto ipocondriaco (o a forte rischio di sviluppare ipocondria) ha molte volte pretese esagerate e non è facile, neanche per il migliore dei medici, riuscire a rassicurarlo. Solitamente si finisce per entrare in una spirale senza fine: il soggetto esegue esami e visite specialistiche a ripetizione che comunque non servono a tranquillizzarlo, anzi, in molti casi l’ansia si accresce sempre di più alimentando nuovi dubbi e facendo sospettare altre possibili patologie.
Esistono però anche forme di ipocondria nelle quali il rapporto con il medico è accuratamente evitato; la preoccupazione per la propria salute, infatti, è così intensa che il soggetto teme che il confronto con il medico e la prescrizione di esami specialistici finiscano per confermare i propri terribili dubbi.
Ipocondria: quando il medico è troppo “prescrittivo”
Nelle forme più lievi di ipocondria, paradossalmente il medico può giocare il ruolo di fattore innescante. Soprattutto medici che tendono sempre e comunque a prescrivere farmaci, a effettuare decine di controlli (periodici, il classico “ogni tot mesi”) ecc. possono dare nel soggetto privo di adeguato senso statistico un motivo di allarme: “occorre tenere il tutto sotto controllo perché nel 2% dei casi la situazione potrebbe degenerare in una forma tumorale”. Di fronte a frasi come queste (o alla prescrizione di farmaci da prendere ogni giorno senza una reale e grave motivazione), alcuni soggetti si convincono di essere “pazienti da curare” ed entrano nella spirale che avvelena la loro vita.
Ipocondria: segni e sintomi, fisici e no
L’ipocondria può manifestarsi in diversi modi.
Il soggetto tende a spaventarsi in modo esagerato ogniqualvolta patisce un malessere, anche di minima portata; spesso, parlando con le altre persone, ha la tendenza a dirottare il discorso sul disturbo di cui egli è convinto di soffrire.
Frequente il ricorso a enciclopedie mediche o alla marea di informazioni fornita dalla Rete; frequentemente è proprio durante la consultazione di queste fonti che il soggetto legge di una malattia di notevole gravità e si convince di esserne affetto. Tipico del soggetto ipocondriaco è anche il continuo controllo (misurarsi la pressione arteriosa o la frequenza cardiaca, eseguire visite periodiche ecc.).
I sintomi fisici avvertiti dal soggetto possono essere i più disparati e generalmente hanno attinenza con la malattia dalla quale egli ritiene di essere stato colpito; fra i sintomi e i segni maggiormente riferiti vi sono le turbe del ritmo cardiaco (extrasistoli, tachicardia ecc.), cardiopalmo (le cosiddette palpitazioni), mal di testa più o meno intenso, diarrea, stitichezza, gonfiore addominale, mal di pancia, crampi addominali, disturbi urinari, sensazione di malessere generale e sintomi neurologici (alterazioni della sensibilità, formicolii, parestesie, riduzione della forza, nevralgie di vario tipo ecc.).
La presenza di queste sensazioni di tipo fisico è generalmente associata a problemi di tipo psicologico quali ansia e/o depressione; in alcuni casi i sintomi psicologici si sviluppano in precedenza o in concomitanza con l’esordio del disturbo ipocondriaco, in altri casi sono secondari proprio a quest’ultimo.
Il soggetto affetto da ipocondria ha poi la tendenza a cercare rassicurazioni in coloro che gli stanno vicino (amici e familiari) sviluppando, nei casi più gravi, una sorta di “dipendenza”. Non mancano i casi di coloro che diventano aggressivi con chi, anche se con lo scopo di aiutarli, li contraddicono sulle questioni relative al loro stato di salute. Altre volte sono i familiari stessi che innescano il processo, esagerando le apprensioni per lo stato di salute del loro caro.
Come si cura l’ipocondria?
Come in molti altri disturbi della personalità, esistono tre livelli.
Nei casi più semplici, è il soggetto stesso che, riconosciuto il suo problema, può risolverlo risolvendo quelli che sono i suoi errori classici (vedasi paragrafo seguente). Questo approccio è particolarmente utile a tutti quei soggetti che hanno una predisposizione a cambiare la propria personalità.
Passando al secondo livello di gravità, il soggetto non è in grado di uscirne da solo, in questo caso, paradossalmente, essendo profondamente convinto di essere affetto da un problema “fisico” non prende in considerazione l’unica figura medica che in molti casi potrebbe effettivamente aiutarlo a risolvere i suoi problemi, ovvero lo psicologo. Se il terapeuta riesce a costruire un rapporto di fiducia abbastanza solido con il proprio paziente, dovrà per prima cosa riuscire a capire quali sono i fattori che hanno contribuito a innescare l’ipocondria.
L’approccio spesso più indicato sembra essere la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Il percorso terapeutico è generalmente molto lungo e difficile perché l’ipocondriaco di questo livello è caratterizzato da una scarsa disponibilità a mettersi in discussione.
Infine, quando all’ipocondria si associano altre turbe (come ansia o depressione) il campo di intervento è squisitamente psichiatrico, essendo di una certa utilità i farmaci antidepressivi in quanto riescono a ridurre i sintomi della depressione e dell’ansia, due disturbi che generalmente accompagnano le forme più gravi di ipocondria.
Gli errori classici di chi soffre di ipocondria
Se siete molto preoccupati per la vostra salute, provate a verificare che non si tratti di un attacco di ipocondria. I consigli che seguono sono utili soprattutto per le forme meno gravi, quelle che abbiamo definito di primo livello.
Esistono alcuni errori tipici che l’ipocondriaco commette.
1) Un solo dato – Chi soffre di ipocondria si fissa su un solo sintomo o su un solo dato (per esempio un valore di un’analisi del sangue). Anziché cercare di correlarlo ad altri sintomi o ad altri dati, “è certo” che quell’unico dato sia collegabile biunivocamente alla terribile patologia. Un mal di testa viene correlato alla presenza di un tumore al cervello, un’alterazione nelle transaminasi a un cancro al fegato e così via. Manca persino la volontà di accertarsi se esistono gli altri fattori diagnostici.
In altri termini, all’ipocondriaco non interessa verificare che esistano tutti i sintomi e tutti i riscontri clinici della patologia, riscrive la medicina: per lui ne basta UNO. Cercate di essere oggettivi e, invece di cercare cosa c’è, verificate cosa non c’è per la diagnosi della patologia in questione, arrivando spesso alla conclusione che non si tratta del vostro caso!
2) Il senso statistico – L’ipocondriaco spesso difetta di senso statistico e ha poca familiarità con i numeri, preferendo un approccio qualitativo. In molti casi l’ipocondria è analoga alla paura di volare in aereo.
Chi soffre di ipocondria non ha il senso della misura e un evento tutto sommato poco probabile (per esempio un infarto in un soggetto di 50 anni che non ha particolari fattori di rischio) diventa assolutamente “certo”. La soluzione al problema è affinare il proprio senso statistico, raffrontandosi a eventi che il soggetto vive normalmente (per esempio andare in auto) e che sono più probabili del male temuto.
3) L’elaborazione della morte – L’ipocondria può sottintende una generica incapacità di sopportare il dolore, ma in molte persone le malattie che spaventano sono quelle mortali. Leoni nell’affrontare un’influenza, ma pecore nell’affrontare la possibilità di sviluppare una patologia potenzialmente mortale. Si veda il rapporto su personalità e gestione del concetto di morte nell’articolo La morte.
L’aneddoto
Anni fa, era mancato improvvisamente, per un attacco di cuore, un ragazzo della mia età che conoscevo benissimo. La cosa mi aveva impressionato a tal punto che mi capitava spesso di pensare al fatto che una cosa analoga potesse capitare anche a me. Un giorno al campo di atletica dovevo eseguire un allenamento piuttosto pesante per il mio povero cuore, una decina di 400 m intervallati da un riposo di un minuto. L’idea della morte mi assalì a tal punto che le prime prove risultarono lentissime. Nonostante ciò, avvertivo sensazioni spiacevolissime (tachicardia, capogiri, mani fredde ecc.) e una fatica terribile. Arrivai così all’ultimo, ancora preoccupato per la mia salute e per il mio povero cuore. Appena prima di partire mi arrivò però un’illuminazione: se avessi continuato ad avere paura, la mia vita sarebbe stata come quell’allenamento, penosissima e lentissima. Decisi di partire al massimo, convinto che era meglio schiattare piuttosto che vivere per sempre così. Feci un tempo grandioso (per forza ero fresco, visto che nelle prime prove non mi ero spremuto poi tanto!) e da allora non ebbi più paura.