Nomofobia è un nuovo termine che indica la paura incontrollata di rimanere sconnessi dal contatto con la rete di telefonia mobile. Si potrebbe anche chiamare dipendenza da cellulare o dipendenza da smartphone.
Probabilmente alcuni di quelli che leggeranno questo articolo si riconosceranno nella descrizione che segue, soprattutto dopo aver letto la definizione che darò fra qualche riga, quindi rischio di apparire ancora una volta poco popolare. Nell’ottica di far crescere la qualità della vita dei visitatori del sito vi invito però a riflettere.
Nomofobia: etimologia
Il termine nomofobia non ha nulla a che fare con i nomi; la sua etimologia infatti ci dice che deriva dai termini inglesi “no mobil”, ovvero assenza di connessione mobile.
Sintomi
Tralasciamo chi usa lo smartphone (cellulare, ma il termine inglese definisce meglio i cellulari di fascia medio-alta) per lavoro e concentriamoci su chi lo usa per contatti extralavorativi. Sicuramente si tratta di un oggetto che in molte occasioni fa guadagnare tempo e quindi è un esempio di tecnologia positiva; ovvio che per avvisare qualcuno del proprio arrivo è più comodo un sms di una telefonata. In sostanza si tratta di una versione parallela al concetto (secondo alcuni ormai superato) di e-mail, con punti di forza l’immediatezza e la facilità di connessione. Quindi quando scatta la nomofobia?
La nomofobia può essere diagnosticata a colui che durante la giornata non ha periodi a smartphone spento.
Oppure, detto in altri termini,
se fai qualcosa che ami, non hai tempo di rispondere allo smartphone, nemmeno a un sms.
Difficile smentire quest’ultima affermazione; chi vuole provarci dovrebbe vedere l’illuminante scena di Viaggi di nozze con il primario che, mentre vive la sua prima notte di nozze, durante l’atto amoroso, riceve una telefonata di un paziente e, con molta professionalità, gli risponde suggerendo la cura: dopo poco, la moglie si suicida buttandosi dalla finestra, capendo quanto poco contasse nella vita dell’uomo.

La nomofobia è anche detta sindrome da disconnessione: il termine deriva da “no mobile” per indicare che la persona non è raggiungibile sul cellulare
Se il vostro smartphone è sempre acceso in attesa di un contatto gradito, non ci sono scuse: non state vivendo al massimo e vi converrebbe cercare oggetti d’amore che vi invitino a spegnerlo, almeno in qualche momento; siete ammalti di nomofobia. per voi la cosa più importante è restare connessi.
Per lavoro ho un Samsung S6, che in realtà è di mia moglie e ogni tanto me lo faccio prestare; il mio è un Motorola di 10 anni fa che tengo spento perché quando sono in giro con mia moglie, sono a caccia, gioco o studio scacchi, sto correndo sto già vivendo il meglio e non ho certo tempo di degradare la mia vita rispondendo a qualche sms.
Non importa se siete il genitore iperapprensivo che ogni mezz’ora controlla il viaggio del figlio, oppure il giovane che si diverte a vivere su Facebook una vita virtuale oppure il manager che va a correre, ma non disdegna di rispondere ogni tanto, oppure ancora la mamma che non si è ancora staccata dalle sue bambine (ormai donne magari sposate) e vive un contatto virtuale che le permette di averle ancora accanto (“cos’hai mangiato?”; “hai dormito bene stanotte?”, “come’è andato lo shopping?”).
E per favore, se dovete scrivere un’e-mail al sito non fatelo da smartphone con due semplice righe striminzite piene di errori, con scarsa informazione a cui è praticamente impossibile rispondere in modo concreto. Ricordatevi che non esistono dispositivi universali e che il vecchio computer desktop in questo caso è sicuramente più adatto. Telefono, PC, smartphone sono utili, se complementari, ridursi a uno solo è dimezzare le proprie possibilità.
E ricordatevi ogni tanto di spegnere tutto per avere momenti dedicati solo a ciò che amate e che rende la vita veramente top. Lo smartphone è un indicatore esistenziale di sopravvivenza: se lo tenete sempre acceso nella speranza che un sms rivitalizzi la vostra giornata, beh… preoccupatevi.