Viene definito parto prematuro (o parto pretermine o PPT) il parto che si verifica prima delle 37 settimane di gestazione. Convenzionalmente, la 22ma settimana di gestazione è considerata come il limite della vita neonatale autonoma e la mortalità in questa età gestazionale è altissima (circa il 99%). Con un’età gestazionale compresa tra le 23 e le 25 settimane la sopravvivenza neonatale va dal 10 al 50% circa (il 20-30% dei neonati avranno complicanze di tipo neurologico); con età gestazionale da 25 a 26 settimane si hanno una sopravvivenza maggiore (dal 50 all’80%) e minori complicanze neurologiche (dal 10 al 25% dei casi); superate le 26 settimane di gestazione la prognosi è molto buona (i neonati venuti alla luce dopo la 32ma settimana hanno una sopravvivenza molto vicina a quella dei nati a termine).
Una complicazione relativamente frequente
Il parto prematuro è una complicazione relativamente frequente; dati recenti parlano di un’incidenza di circa il 13% negli Stati Uniti d’America; in Europa l’incidenza è di circa l’8%, mentre nel nostro Paese è leggermente inferiore al 7%. Secondo i dati della SIN (Società Italiana di Neonatologia), in Italia, su un totale di circa 514.000 nuovi nati (l’ultimo aggiornamento disponibile è relativo al 2013), quasi 36.000 bambini sono nati prematuramente. Le donne di colore sono più soggette a parto prematuro rispetto alle donne di razza bianca. La gran parte dei prematuri nasce dopo la 32ma settimana, mentre circa il 2% nasce prima; rari i casi in cui si hanno nascite già dopo la 20ma settimana.
Per quanto negli ultimi 30/35 anni siano stati compiuti enormi passi in avanti in ambito perineonatologico, il parto prematuro rappresenta, ancora oggi, la causa più comune di mortalità perinatale; esso, infatti, è la causa sia della maggior parte delle morti di neonati non legate a malformazioni di tipo congenito sia della maggioranza degli handicap di tipo neuromotorio la cui gravità è tanto maggiore quanto minore è il peso registrato alla nascita.
Le maggiori preoccupazioni legate al parto prematuro sono relative alle conseguenze a breve e a lungo termine (emorragie intraventricolare e periventricolare, sindrome da distress respiratorio, leucomalacia periventricolare, enterocolite necrotizzante, disturbi a livello cognitivo e deficit visivi) nonché al forte rischio di disabilità in quei soggetti nati in età gestazionale particolarmente precoce (ovvero inferiore alle 32 settimane).
Parto prematuro: le varie classificazioni
Esistono molte modalità di classificazione del parto prematuro; analizziamo le più importanti.
Facendo riferimento alle cause che lo hanno provocato si parla di parto prematuro spontaneo (dal 70 all’80% dei casi) oppure di parto prematuro iatrogeno (dal 20 al 30% dei casi).
Rientrano fra i casi di parto prematuro spontaneo (o idiopatico) anche quelli di rottura prematura pretermine delle membrane e di insufficienza cervicale.
Il parto prematuro iatrogeno (o indotto) è un parto che avviene per indicazione medica (in riferimento alla madre o al feto).
Basandosi sull’epoca gestazionale (classificazione che riveste una certa importanza ai fini della prognosi) si distinguono:
- parto prematuro estremamente precoce (il travaglio ha luogo prima della 24ma settimana)
- parto prematuro precoce (il travaglio ha luogo tra la 24ma e la 32ma settimana)
- parto prematuro tardivo (il travaglio ha luogo tra la 32ma e la 36ma settimana).
Il parto prematuro viene anche classificato facendo riferimento al peso alla nascita; in base a questo criterio si parla di:
- parto prematuro con neonati LBW (Low Birth Weight) ovvero il cui peso alla nascita è compreso tra 1,501 e 2, 5 kg.
- parto prematuro con neonati VLBW (Very Low Birth Weight) ovvero il cui peso alla nascita è inferiore a 1,5 kg
- parto prematuro con neonati ELBW (Extremely Low Birth Weight) ovvero il cui peso alla nascita è inferiore a 1 kg.
Infine si può classificare il parto prematuro facendo riferimento al peso alla nascita in rapporto al periodo gestazionale; in base a questo criterio si distinguono:
- parto prematuro con neonati AGA (Appropriate for Gestational Age) ovvero il cui peso è appropriato all’età gestazionale compreso tra il 10° e il 90° percentile
- parto prematuro con neonati SGA (Small for Gestational Age) ovvero il cui peso è basso per l’età e inferiore al 10° percentile
- parto prematuro con neonati LGA (Large for Gestational Age) ovvero con peso maggiore al 90° percentile.
Parto prematuro: cause e fattori di rischio
Le cause di parto prematuro sono numerose e anche molto diverse fra loro.
Fra i principali fattori di rischio vanno registrati esiti di gravidanze precedenti quali aborto, decesso neonatale e soprattutto un precedente caso di parto prematuro, probabilmente il fattore di rischio più importante.
Un notevole fattore di rischio è rappresentato anche da determinate condizioni sociali (indigenza, malnutrizione, igiene precaria, lavori particolarmente pesanti ecc.).
Altri fattori di rischio sono rappresentati dall’età della madre (età inferiore ai 17 anni o superiore ai 40), dalla presenza di determinate patologie (anemia sideropenica, cardiopatie, diabete mellito gestazionale, fibroma uterino, infezioni urinarie, infezioni cervicali e vaginali, ipertensione arteriosa essenziale, ipertensione arteriosa indotta dalla gravidanza e ipertiroidismo), da problemi fetali (ritardo di crescita uterina e malformazioni), da gravidanze troppo ravvicinate nel tempo, dalla fecondazione in vitro, dalla gravidanza gemellare, dal sovrappeso o dal sottopeso prima della gravidanza, da problemi placentari o annessiali (annidamento anomalo dell’ovulo, distacco di placenta, placenta previa, rottura precoce delle membrane, polidramnios – ovvero eccesso di liquido amniotico -, oligoamnios – ovvero scarsità di liquido amniotico – (ecc.).

Il parto prematuro è una complicazione relativamente frequente; dati recenti parlano di un’incidenza di circa il 13% negli Stati Uniti d’America; in Europa l’incidenza è di circa l’8%, mentre nel nostro Paese è leggermente inferiore al 7%.
Tra i fattori di rischio vanno infine citati la razza nera, l’assunzione di alcol o di sostanze stupefacenti (in particolar modo la cocaina), la preeclampsia (nota anche come gestosi), gli infortuni e i traumi fisici, i forti stress emotivi e il fumo di sigaretta.
Diagnosi di rischio di parto pretermine
Identificare precocemente un vero travaglio di parto è spesso difficoltoso. Sono stati quindi proposti diversi criteri che servissero a documentare e a porre la diagnosi di rischio di parto prematuro; per farlo, oltre al necessario criterio di quattro contrazioni al minuto o più di otto contrazioni nell’arco di tempo di un’ora, deve essere registrata la presenza di almeno uno di questi altri:
- rottura delle membrane
- dilatazione >2 cm
- raccorciamento del collo dell’utero superiore all’80% (se la lunghezza del collo dell’utero è inferiore ai 2,5 cm la minaccia di parto prematuro è avanzata)
- dopo un’ora la clinica della gestante è modificata
- presenza di fibronectina fetale nelle secrezioni vaginali.
Fra i test più utili per verificare il rischio di parto pretermine vi sono il test della fibronectina fetale e la misurazione della lunghezza della cervice uterina.
La fibronectina è una glicoproteina che agisce come collante tra la decidua materna e le membrane amniotiche; quando iniziano le contrazioni (anche asintomatiche) lo stress meccanico provocato dall’attività contrattile causa uno scollamento nell’interfaccia materno-fetale e la fibronectina viene rilasciata nelle secrezioni vaginali. Dal momento che lo scollamento può essere prodromico di parto prematuro, il rinvenimento di fibronectina nel secreto vaginale, raccolto tramite tampone vaginale, può essere indicativo dell’eventuale insorgenza di un parto pretermine. Nel caso che il test della fibronectina fetale risulti positivo, esiste la possibilità (non la certezza) di un parto prematuro nel giro di due settimane circa dall’esecuzione del test.
Anche la misurazione della lunghezza della cervice uterina (o collo dell’utero) è di notevole utilità per valutare l’esistenza di un rischio di parto pretermine. La misurazione può essere effettuata tramite esplorazione digitale, ma, affinché il risultato abbia maggiore attendibilità, è consigliabile affidarsi a un’ecografia per via transvaginale; questo esame viene eseguito tramite una sonda ecografica che viene inserita in vagina. L’ecografia può essere effettuata anche per via transperineale, ma in genere si preferisce la prima soluzione perché, nel secondo caso, può verificarsi un certo oscuramento causato dalla presenza di gas intestinali.
Il test della saliva – Nel 2009, il King’s College di Londra ha messo a punto un test per l’individuazione delle gestanti che hanno maggiori rischi di partorire prematuramente. Lo studio relativo al test è stato pubblicato, sempre nel 2009, sul British Journal of Obstetrics and Gynaecology. Il test in questione si basa sull’analisi della concentrazione di progesterone nella saliva delle gestanti; il progesterone viene prodotto in quantità notevoli dalla placenta e il suo scopo principale è quello di impedire le contrazioni uterine. Lo studio del King’s College ha messo in evidenza che le donne che entrano in travaglio prima che siano terminate le 34 settimane di gestazione, hanno bassi livelli di progesterone nella saliva. Gli studiosi ritengono che, grazie a questo test, poco costoso, poco invasivo e molto rapido, si potranno monitorare con maggiore attenzione le donne che risulteranno più a rischio aiutandole, eventualmente, con la somministrazione di ormoni.
Il test diagnostico dell’Accademia Sahlgrenska dell’Università di Göteborg – Nel settembre del 2012, un team di ricercatori dell’Università di Göteborg ha messo a punto un test diagnostico che sarebbe in grado di prevedere se la gestante che presenta contrazioni pretermine partorirà nel giro di 7 giorni. Lo studio, pubblicato sul British Journal of Obstetrics and Gynaecology, è stato effettuato su 142 donne che, nel periodo tra il 1995 e il 2005, avevano mostrato chiari segni di contrazioni pretermine senza la presenza di rottura delle membrane. Il test si basa su un esame del sangue che analizza due proteine specifiche e viene combinato con il test di misurazione della lunghezza della cervice. Secondo i ricercatori, il test è in grado di prevedere, con il 75-80% di precisione, se entro una settimana si verificherà il parto.
Segni e sintomi premonitori di un parto prematuro
Vi sono diversi segni e sintomi che possono fungere da avvisaglie di un probabile parto prematuro; fra questi ricordiamo, oltre alla frequenza delle contrazioni citata nel paragrafo precedente, la perdita di sangue e di liquidi dalla vagina, un dolore sordo nella parte bassa della schiena, crampi simili a quelli che si avvertono durante le mestruazioni, crampi addominali con o senza diarrea e un senso di pressione nella zona pelvica (la gestante ha come la sensazione che il bambino “prema” per uscire).
In presenza di uno o più di questi segni o sintomi è decisamente opportuno che la futura madre consulti al più presto il proprio ginecologo.
Aspetti preventivi
Tradizionalmente, alle donne che presentano minaccia di parto pretermine, vengono consigliati riposo a letto, idratazione e riposo della pelvi. Non esistono però, a tutt’oggi, evidenze che tali raccomandazioni siano efficaci nel ritardare il momento del parto.
Una tecnica preventiva di parto prematuro è rappresentata dal cerchiaggio cervicale; trattasi di una procedura chirurgica messa a punto nel 1955 da Shirodkar di cui esistono oggi numerose varianti. Sull’opportunità di ricorrere a questa tecnica il dibattito fra i vari autori è sempre stato molto acceso. Va comunque precisato che la tecnica del cerchiaggio non è comunque applicabile a tutti i contesti di rischio di parto pretermine e peraltro è controindicata in caso di gravidanza gemellare, anomalie fetali, contrazioni uterine e corion-amnionite. Il cerchiaggio cervicale è spesso utilizzato per la prevenzione di parto pretermine in caso di debolezza della cervice (condizione nota anche come incompetenza della cervice).
La prevenzione del parto pretermine si avvale anche della terapia farmacologica; i farmaci utilizzati sono i cosiddetti tocolitici (per esempio il solfato di magnesio, gli inibitori della sintesi di prostaglandine, i calcio-antagonisti, il progesterone, i beta-mimetici, gli antagonisti recettoriali dell’ossitocina ecc.).
La terapia tocolitica, oltre all’impiego nella minaccia di parto prematuro, viene utilizzata anche in caso di minaccia d’aborto.
I benefici degli interventi atti a prolungare il periodo di gravidanza vengono soppesati valutando anche i rischi di effetti collaterali a carico del feto o della madre. Il fattore che riveste maggiore importanza è l’epoca gestazionale; secondo diversi autori, trascorse le 34 settimane, non vi sono evidenze relative a benefici, per la madre o il bambino, derivanti dai vari interventi terapeutici e molti medici, trascorso tale termine, non fanno alcun tentativo di arrestare il travaglio. Nel periodo che va dalla 28ma alla 34ma settimana, invece, i vantaggi di un prolungamento della gravidanza sono considerati significativi. Prima della 28ma settimana, prolungamenti anche di pochi giorni sono associati a miglioramenti significativi in termini di morbilità e mortalità perinatali. Trattamenti prima della 24ma settimana sono considerati estremamente difficili e dovrebbero essere valutati prendendo in considerazione il rischio di gravi disabilità a lungo termine nel neonato che sopravvive.
Complicazioni del parto pretermine
Possono essere diverse le complicazioni legate a un parto prematuro; infatti, il mancato completo sviluppo di organi e apparati è fonte di problemi di adattamento alla vita extrauterina e, conseguentemente, nei primi dodici mesi di vita, i neonati pretermine devono fronteggiare un rischio di mortalità più elevato rispetto a quello dei nati a termine.
Uno dei maggiori rischi cui vanno incontro i nati pretermine è la RDS (Respiratory Distress Sindrome), ovvero la sindrome del distress respiratorio altresì nota come malattia da membrane ialine polmonari. È per questo motivo che, in caso di minaccia di parto pretermine, si provvede a somministrare un corticosteroide alla madre; la somministrazione di corticosteroidi, infatti, può aiutare ad accelerare la maturazione polmonare del feto.
Il nato pretermine registra generalmente problemi di controllo della temperatura corporea (il sistema di termoregolazione non è ancora completamente sviluppato), corre maggiori rischi di contrarre infezioni virali o batteriche, è generalmente anemico e può avere problemi cardiaci, visivi, cerebrali e nutrizionali.
Altre complicazioni spesso registrate sono l’ittero neonatale e l’enterocolite necrotizzante; quest’ultima patologia e altre complicazioni quali il dotto arterioso pervio, la retinopatia del prematuro e l’idrocefalo richiedono un intervento di tipo chirurgico.
Parto pretermine – Terapia
Com’è facilmente intuibile, un bambino prematuro necessita di terapie particolari a seconda della gravità della situazione; nei casi più semplici può essere sufficiente una terapia di supporto (crescita in un’incubatrice, esposizione alla luce fluorescente, trasfusione di sangue, infusione di surfattante, somministrazione di antibiotici), mentre nei casi più gravi, come già accennavamo al termine del paragrafo precedente, è necessario il ricorso a interventi chirurgici.