Con terapia del dolore (nota anche come medicina del dolore o, seppure impropriamente, come algologia) si fa riferimento a un approccio curativo multidisciplinare il cui scopo fondamentale è quello di minimizzare il più possibile la sintomatologia dolorosa in quei soggetti in cui il dolore assume carattere di cronicità.
La terapia del dolore appartiene, di fatto, a quella serie di cure, definite palliative (con il termine palliativo si fa riferimento a una cura o a un farmaco grazie ai quali si possono rimuovere o alleviare i sintomi di una patologia, pur non potendo rimuoverne le cause), che vengono generalmente impiegate nei pazienti colpiti da gravi patologie che tendono a evolversi e che nella maggior parte dei casi risultano irreversibili.
I soggetti che vengono trattati con questo tipo di approccio sono solitamente pazienti in cui i tradizionali sistemi terapeutici non sono in grado di sortire effetti significativi.
Il dolore e la sua terapia
Il dolore in sé costituisce il sintomo più comune di una malattia, in grado di avvisarci sullo stato di salute psicofisica del nostro organismo. Nei casi più gravi di patologie croniche, il dolore tende a evolversi da acuto (ossia improvviso e influenzato da una causa ben precisa, ma limitato nel tempo) a persistente (il cosiddetto DCO, dolore cronico oncologico), con l’instaurarsi di fenomeni in grado di renderlo continuo, con un aumento della reazione allo stimolo doloroso, un abbassamento sensibile della soglia di percezione del dolore stesso e la sua diffusione in vaste aree del corpo, seppur non coinvolte nel danno che ha scatenato il suo insorgere.
L’utilizzo della terapia del dolore contribuisce al miglioramento della qualità della vita del paziente ancor più che alla sua sopravvivenza, controllando i sintomi del dolore e le alterazioni che ne possono scaturire dal punto di vista psicofisico.
Quando può essere utile la terapia del dolore?
La terapia del dolore è impiegata prevalentemente su persone affette da malattie terminali, con lo scopo di controllare e ridurre gli intensi dolori causati da esse, sostenendo fortemente il paziente dal punto di vista psicologico.
Secondo gli ultimi dati dell’OMS, ogni anno vengono diagnosticati circa 12 milioni di nuovi casi (si stima che nel 2030 si passerà a 22 milioni di casi) di tumore che, la maggior parte delle volte, portano purtroppo alla morte del paziente.
Se le cure a cui è sottoposto il paziente (operazioni chirurgiche o chemioterapie) diventano ormai inutili per ridurre la massa tumorale, egli va incontro a drammatiche sofferenze psicofisiche. Il dolore va infatti considerato nella sua complessità, quindi non soltanto per le conseguenze fisiche dovute alla malattia, ma soprattutto per come esso è percepito da chi ne soffre dal punto di vista della stanchezza, delle paure (di morire, di lasciare i propri cari) e degli aspetti relazionali.
Per venire incontro alle esigenze di questi pazienti sono nate le cure palliative, di cui la terapia del dolore è la più rappresentativa. Esistono inoltre alcune situazioni non legate a patologie di tipo oncologico in cui essa è comunque richiesta, per esempio in certe malattie croniche che colpiscono le persone anziane e che le rendono prive di autonomia e dunque dipendenti da altri, stato che porta spesso alla depressione.
Questo può accadere anche in persone più giovani in seguito a incidenti o a gravi malattie e, oltre al dolore, si devono affrontare alcune problematiche sociali (la perdita del proprio ruolo in ambito lavorativo o familiare) e determinate paure che investono la sfera psicofisica del paziente (la paura di morire, di soffrire dolori incontrollabili, di perdere il controllo psichico o fisico, il senso di abbandono ecc.).
Come può aiutare la terapia del dolore?
L’obiettivo principale della terapia del dolore è quello di assicurare al paziente una dignitosa qualità della vita, quale che sia il suo stato patogeno. Esistono metodologie molto diverse per lenire il dolore, la più semplice delle quali è la somministrazione di farmaci con potenza analgesica (gli oppioidi ne sono un classico esempio) rapportata all’intensità del dolore. Si tratta comunque di un metodo semplicistico e valido solamente per quei dolori acuti legati alla sintomatologia della malattia destinati a risolversi in tempi brevi. Ben diversa è la situazione in cui il dolore sia cronico e persistente, in grado di influenzare negativamente e completamente la vita del paziente.
La terapia del dolore mira alla cura della persona malata tramite l’utilizzo di particolari strutture ospedaliere che fungano da punto di riferimento per le sue esigenze, senza tuttavia sostituirsi alle mura domestiche.
Questi centri di cure palliative, definiti hospices, devono essere considerati come una sorta di intermediario tra il paziente e la cura della propria malattia, da svolgersi anche nella propria abitazione con una forte assistenza domiciliare. È ovviamente necessario un primo approccio terapeutico per misurare il dolore fisico onde classificarlo in base alla scala analgesica dell’OMS, registrarlo nella cartella clinica del paziente e intervenire di conseguenza nel modo più adeguato allo scopo di lenirlo il più efficacemente possibile.
Il supporto degli hospices per combattere il dolore
Scopo di questi centri, nati negli anni ’60 del XX secolo a Londra e ancora relativamente poco diffusi in Italia, è quello di offrire un intervento sanitario e assistenziale efficace e continuativo nei confronti dei pazienti terminali, fornendo le massime condizioni di supporto e sostegno. Gli hospices costituiscono delle strutture intra-ospedaliere, una via di mezzo tra un ospedale e una casa, un luogo in cui sia possibile praticare la terapia del dolore con ogni mezzo, sia esso medico o psicologico e spirituale, teso a migliorare la qualità della vita e il benessere psicofisico del paziente.
Tra gli aspetti peculiari di questi centri si possono citare la personalizzazione delle cure e l’accesso continuo di persone in grado di recare benessere emotivo alla persona malata come i familiari o gli amici. Ovviamente sta al paziente scegliere se restare in questi centri o preferire le cure domestiche, anche se nei casi più gravi l’ospedalizzazione rappresenta la migliore scelta dal punto di vista medico e di supporto morale e assistenziale per i familiari.

La terapia e il controllo efficace del dolore, nei confronti di pazienti terminali, è uno dei punti nevralgici del programma oncologico dell’OMS
È comunque vero che in una situazione drammatica come quella di chi si trova ad affrontare malattie così gravi, la protezione e la sicurezza domestica sono impareggiabili come supporto morale. In questi casi è necessario che gli hospices forniscano un’equipe di figure professionali altamente qualificate per l’assistenza domiciliare: un medico e un infermiere domiciliare, un volontario e il cosiddetto familiare leader costituiscono nell’insieme un primo gruppo di unità mobile di intervento, mentre come gruppo di raccordo tra casa e servizio esistono le figure dello psicologo e dell’assistente sociale.
La terapia e il controllo efficace del dolore, svolto da questi centri nei confronti di pazienti terminali, è uno dei punti nevralgici del programma oncologico dell’OMS, così come la prevenzione primaria e la diagnosi precoce. L’obiettivo principale è sempre e comunque quello di rendere meno sofferta la fase terminale della vita del paziente, cercando di donare a chi soffre l’opportunità di vivere anche negli ultimi momenti, nel modo più dignitoso possibile.