Tumore, cancro, carcinoma, neoplasia… Qual è la differenza fra questi termini? Sono sinonimi oppure ci sono delle distinzioni da fare? In effetti non è sempre semplice districarsi in questa particolare terminologia, anche perché, a onor del vero, non tutti gli autori concordano in toto sulla definizione di ognuno di essi. Comunque sia, dal momento che sono termini che vengono usati pressoché quotidianamente anche dai non addetti ai lavori, riteniamo opportuno cercare di fare, nei limiti del possibile, un minimo di chiarezza sull’argomento.
Iniziamo con il termine che, a nostro avviso, può essere considerato quello più “generale”: tumore.
Tumore è una parola che deriva dal latino (tumor, gonfiore, rigonfiamento) e che in medicina viene utilizzata con accezioni più o meno specifiche; solitamente la si usa per indicare una patologia caratterizzata da un abnorme accrescimento di un tessuto dell’organismo. Grossolanamente possiamo suddividere i tumori in due grandi categorie: tumori benigni e tumori maligni; in questo senso, sinonimo di tumore è neoplasia (dal greco, neo, nuova, e plasia, formazione).
Il termine carcinoma viene da molti autori considerato in modo più specifico e, attualmente, ma non era così in passato, la maggior parte di essi lo utilizza per riferirsi ai tumori maligni che originano dai tessuti epiteliali; non è quindi un termine che tutti utilizzano in senso generale. Non sarebbe per esempio corretto parlare di carcinoma riferendosi a un sarcoma (una tipologia di tumore che colpisce il tessuto connettivo) oppure a un glioma (un tumore che origina dalla trasformazione delle cellule gliali del sistema nervoso centrale).
Siamo infine arrivati al termine cancro; con cancro ci si riferisce in modo generico a tutti i tumori maligni ed è in particolare di cancro che ci occuperemo in questo nostro articolo.
Tumore: quando una cellula va “fuori controllo”
Come si sviluppa un cancro? La domanda non è di poco conto.
In un organismo sano esiste un perfetto equilibrio fra vita e morte cellulare (omeostasi cellulare); le cellule si sviluppano, assolvono le loro funzioni e infine muoiono, mentre altre si riformano; si parla pertanto di equilibrio fra divisione cellulare (la cosiddetta mitosi) e morte cellulare programmata (nota anche come apoptosi, termine coniato nel 1972 da J. F. Kerr, A. H. Wyllie e A. R. Currie), tale equilibrio viene mantenuto attraverso una rigida regolazione dei succitati processi e serve a garantire che gli organi e i tessuti del corpo umano conservino la loro integrità. È nel momento in cui tale equilibrio viene a mancare che può svilupparsi un cancro.
Un po’ grossolanamente si può sintetizzare l’intero concetto affermando che una cellula inizia col perdere alcune sue caratteristiche (per esempio non svolge più correttamente le sue funzioni), ne acquisisce di diverse (per esempio la capacità di riprodursi in tessuti diversi da quello originario) e inizia a moltiplicarsi senza più “seguire determinate regole”; spesso, un po’ pittorescamente, ma efficacemente, si indica questo processo dicendo che la cellula “impazzisce“, “va fuori controllo“.
Un tumore nasce, si alimenta, cresce e si diffonde
L’organismo umano è costituito da circa 200 diversi tipi di cellule che si caratterizzano per le loro peculiari funzioni. Una minima parte di esse (circa il 10%) sono “immortali”, le altre si rinnovano continuamente; alcune cellule (per esempio quelle del sangue) si rinnovano nel giro di giorni o settimane, altre vivono per anni prima di esaurire il loro ciclo.
Ogni giorno nascono circa mille miliardi di nuove cellule e altrettante ne muoiono. Un equilibrio vitale che non dovrebbe essere spezzato. Sfortunatamente però, durante il suo ciclo vitale, una cellula subisce numerose aggressioni; se l’organismo non è in grado contrastare efficacemente questi attacchi, la cellula può sfuggire al controllo e accumulare mutazioni (le cosiddette alterazioni genetiche) che interferiscono con i processi di proliferazione e di morte causando problemi a livello di omeostasi cellulare; a questo punto tale cellula può riprodursi creando cellule sempre più instabili che finiranno per generare un tessuto tumorale.
Adesso il tumore è nato e fra le sue caratteristiche c’è quella di dar vita a nuovi vasi sanguigni (processo di angiogenesi) grazie ai quali potrà alimentarsi e conseguentemente crescere.

Gli esami per immagini in medicina sono un ottimo strumento di diagnosi in caso di tumore e cancro.
È doveroso fare una precisazione: alcuni tumori sì crescono, ma non si diffondono ad altri tessuti, mentre altri crescono e alcune loro cellule si staccano e iniziano una migrazione o verso tessuti vicini o verso zone dell’organismo più distanti; questa capacità di migrazione è ciò che, fondamentalmente, distingue i tumori maligni (i cancri) da quelli benigni (1). In altre parole:
un tumore benigno rimane confinato all’organo nel quale ha iniziato il suo sviluppo, si espande, in genere in modo decisamente lento, e può comprimere i tessuti vicini, danneggiandoli e creando problemi funzionali, ma non ha capacità infiltrative;
un tumore maligno invece cresce, solitamente in modo alquanto rapido, infiltra i tessuti vicini, li invade e inoltre può, attraverso le vie linfatiche e quelle sanguigne, colonizzare altri organi (processo di metastatizzazione); le cellule che hanno abbandonato la loro sede di origine (dando luogo alle cosiddette metastasi) vengono anche denominate cellule colonizzatrici.
Secondo alcuni ricercatori del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, alcune di queste cellule colonizzatrici, dopo aver generato le metastasi, si “nascondono” per poi ritornare al luogo di origine, riproducendo il tumore; ipotesi suggestiva che potrebbe spiegare le cosiddette recidive tumorali, un problema decisamente grave che si somma ai tanti che un ammalato di cancro deve affrontare.
La nascita di un cancro sembrerebbe quindi essere dovuta a una specie di “anarchia cellulare” provocata da alterazioni genetiche. Quali siano i motivi di queste alterazioni è una questione tuttora non completamente chiara.
Cancro: un solo nome per mille malattie
Secondo molti autori parlare di “cancro” è decisamente fuorviante; bisognerebbe infatti parlare di “cancri”, tante sono le differenze che possono esserci fra un tipo di tumore e l’altro. E del resto, anche la classificazione “anatomica” del cancro sembra essere alquanto semplicistica; esistono, per esempio, tumori che colpiscono lo stesso organo -e che in apparenza sembrano essere identici- che reagiscono in modo totalmente diverso allo stesso tipo di trattamento oppure evolvono con una diversa tempistica (nella tabella di fine paragrafo riportiamo una classificazione dei tumori non per organo, ma per tipo).
La cosa sembra venir confermata dal fatto che i ricercatori si trovano continuamente costretti a definire nuovi sottogruppi di tumore.
Si prenda per esempio il glioblastoma, una delle forme più temibili di cancro al cervello; qualche anno fa, un’équipe di ricercatori statunitensi ha affermato che esistono almeno quattro diversi sottotipi di questo tipo di cancro; ma quello del glioblastoma non è certo l’unico esempio; attualmente sono stati identificati diversi sottotipi di cancro al seno, vari sottotipi di mieloma, alcuni sottotipi di cancro ovarico ecc. Gilles Vassal, un noto oncologo dell’Institut de cancérologie Gustave Roussy di Villejuif, Francia, afferma che “più andiamo avanti con la ricerca, più si suddividono frequenti tipi di cancro in sottogruppi di cancri più rari“.
Di fatto, molti studiosi ritengono che ciascun cancro abbia una propria carta d’identità genetica che è definita da una combinazione unica di aberrazioni genetiche.
Che i cancri siano causati da alterazioni genetiche è cosa nota da tempo, ma è invece relativamente recente la possibilità di avere una visione d’insieme del genoma di un tumore.
Qualche anno fa, la rivista Nature pubblicò due articoli relativi ai risultati ottenuti da dei ricercatori del Britain’s Wellcome Trust Sanger Institute; gli scienziati in questione hanno mappato interamente il genoma di due temibili tipi di cancro, il microcitoma polmonare (A small-cell lung cancer genome with complex signatures of tobacco exposure) e il melanoma (A comprehensive catalogue of somatic mutations from a human cancer genome); nel primo tipo di tumore era stata rilevata la presenza di 22.910 mutazioni genetiche (134 di queste mutazioni in zone ritenute cruciali), mentre nel secondo tipo di cancro le mutazioni erano 33.345.
Interessante il commento di Alberto Bardelli, direttore del laboratorio di genetica molecolare all’Ircc di Candiolo (Torino), che ha paragonato il genoma umano a una sorta di enciclopedia composta da 46 libri (i cromosomi) di circa 40.000 pagine (i geni) costituite da 1.500 caratteri circa: gli errori ortografici contenuti nell’opera sarebbero 22.910; 134 di questi errori sarebbero potenzialmente in grado di stravolgere il senso di tutta l’opera enciclopedica. Un’affascinante metafora che ci fa capire, come commentò il noto oncologo Umberto Veronesi (1925-2016), quanto sia importante la rivoluzione apportata dagli studi del DNA in oncologia, studi che potrebbero permetterci di identificare i geni che hanno subito mutazioni e modificarli oppure intervenire su di essi in modo selettivo attraverso specifiche molecole. Tra l’altro non si può escludere a priori il fatto che conoscere quali siano i geni che hanno subito mutazioni non aiuti a risalire alle cause che hanno provocato l’insorgere del cancro.
Verso la fine degli anni ’70 i ricercatori ritenevano di aver trovato la chiave del problema; erano stati infatti scoperti i primi geni direttamente implicati nella trasformazione di una cellula normale in una cellula cancerosa, gli oncogeni; si iniziò a pensare che sarebbe stato sufficiente identificare i geni mutanti per trovare la via molecolare del cancro e conseguentemente riuscire a guarirlo. Ma la questione era molto più complessa di quanto non si prevedesse inizialmente; continuamente si scoprivano nuovi geni che erano implicati nello sviluppo di diversi tipi di cancri e si è visto che sono centinaia e centinaia i geni che sembrano governare i meccanismi di crescita cellulare; moltissimi elementi chiave che, allorché subiscono una mutazione, possono trasformare una cellula da normale a cancerosa.
Negli ultimi anni sono state fatte diverse scoperte; si è visto per esempio che sono molte le modalità che permettono che una cellula normale si trasformi in cancerosa e che tali modalità variano a seconda dei diversi organi e tessuti. È noto per esempio il fatto che le cellule cancerose sfuggono al meccanismo apoptotico, ma ciò non succede sempre nello stesso modo; per esempio, in certi linfomi o in particolari cancri del seno è il gene bcl-2, un inibitore dell’apoptosi, che non funziona in modo corretto; in altre tipologie di cancro (per esempio alcuni tipi di tumore al colon) è il gene Bax, che normalmente favorisce il processo apoptotico, che sparisce oppure perde le proprie funzionalità.
Le cose si complicano ulteriormente nel momento in cui, come accennavamo a inizio paragrafo, in un medesimo tipo di tumore, si hanno differenti profili genetici; da qui l’identificazione di nuovi sottotipi di determinati tumori. Similmente, alcuni tipi di tumore del colon sono legati a una mutazione del gene K-ras, mentre in altri tipi di cancro del colon, questo gene risulta essere immutato; appare ovvio che un trattamento che abbia come bersaglio questo gene non può essere efficace per tutti i tipi di tumore che colpiscono questa parte dell’organismo. Di fatto, per ogni gene che viene considerato, si possono avere due categorie di tumori: una che presenta una mutazione e una in cui tale mutazione non esiste. Considerando che i geni in gioco sono centinaia si può comprendere quanto la questione sia complessa.
Considerando le “diversità” in gioco sembra utopistico pensare di trovare “la cura” che possa trattare tutti i tipi di tumore. È ormai pacifico, e da tutti accettato, che ogni tipo di cancro deve avere il proprio specifico trattamento se non addirittura una combinazione di trattamenti mirati. Quindi, quello che sembra ragionevole pensare è che, essendo certi tumori simili istologicamente, ma diversi geneticamente, si dovranno curare in modo differenziato, sottoponendo i malati di tumore a trattamenti confacenti alla loro specifica patologia.
Da quanto detto sopra si può intuire come la complessità della questione cancro rappresenti un ostacolo al progredire della ricerca; d’altronde è pur vero che non si sta brancolando totalmente nel buio; sappiamo per esempio che determinate mutazioni genetiche sono più frequenti di altre ed è su queste che si possono indirizzare maggiori attenzioni. Alcuni esempi: sappiamo che in un terzo di tutti i cancri si ha una mutazione del gene oncosoppressore PTEN, la cui normale funzione è quella di impedire che le cellule crescano e proliferino in modo incontrollato; oppure sappiamo che una mutazione del gene p53 (gene che ha una funzione di regolazione sia della crescita che della divisione cellulare e che ha un ruolo di primo piano nella proliferazione di cellule anormali) è presente in circa la metà di tutti i tumori. E non è tutto; sappiamo infatti che, seppure i meccanismi e le mutazioni che innescano la nascita di un cancro varino da un tumore all’altro, spesso si ha un’alterazione degli stessi meccanismi di regolazione cellulare.
Non è quindi azzardato affermare che, nel disordine genetico che regna all’interno delle cellule cancerose, esiste comunque una certa logica; per quanto siano numerosi, i geni implicati nei cancri sono relativi a un numero limitato di circuiti cellulari, quelli che per esempio controllano i fattori di crescita, l’apoptosi, la proliferazione ecc. Abbiamo quindi tanti, tantissimi ostacoli, ma posti su un numero di strade alquanto limitato.
C’è un’altra cosa di cui bisogna tenere debito conto: non tutte le mutazioni che possono riguardare una cellula sono responsabili della sua trasformazione da cellula normale a cellula cancerosa; come già accennato in precedenza, a proposito della mappatura del genoma di un tumore, solo una piccola parte delle mutazioni dà luogo alla formazione di proteine “anomale”; ancora però non è noto quante di queste mutazioni siano necessarie affinché si scateni il processo di cancerizzazione; allo stato attuale si ipotizza che occorrano da 6 a 12 mutazioni per dar luogo a un processo canceroso; un serio problema è che, una volta che tale processo è iniziato, il tutto si accelera: a ogni divisione le cellule tumorali, dapprima relativamente inoffensive, diventano sempre più instabili da un punto di vista genetico con la conseguenza che ogni ulteriore divisione può dar luogo a nuove mutazioni genetiche che permettono alla cellula di modificare costantemente il proprio profilo conferendo al tumore caratteristiche che inizialmente non possedeva come, per esempio, la capacità di creare nuovi vasi sanguigni per potersi nutrire e crescere, quella di resistere alla morte cellulare programmata oppure quella di migrare verso altri organi dando luogo alle tanto temute metastasi che, alla fine dei conti, sono le maggiori responsabili dei decessi per cancro. Secondo molti studiosi, il progressivo accumulo di alterazioni di tipo genetico in specifici geni tumorali è la causa primaria dei processi di inizio, progressione e metastatizzazione dei cancri.
Principali tipi di cancro | Tessuto di origine del tumore | Frequenza (dati stimati) | Localizzazioni |
Adenocarcinoma | Epitelio (tessuto di rivestimento ghiandolare) | 85% di tutti i cancri | Seno, fegato, rene, prostata, pancreas, ovaio, tiroide, colon, stomaco, ghiandole salivari, polmoni ecc. |
Carcinoma epidermoide | Epitelio malpighiano | Pelle, vie digestive, polmoni, collo dell’utero, pancreas ecc. | |
Sarcoma | Tessuto connettivo, ossa e muscoli | 2-3% di tutti i cancri | Ossa, cartilagine, polmoni, tessuto adiposo, vasi sanguigni e linfatici |
Linfoma di Hodgkin | Linfociti B (cancro caratterizzato da grandi cellule atipiche) | 5-7% di tutti i cancri | Linfonodi, Milza |
Linfoma non-Hodgkin (20 tipi diversi) | Linfociti T | Vie digestive, pelle, cervello, ossa, organi genitali, polmoni ecc. | |
Leucemia | Cellule del midollo osseo (blasti) | 4% di tutti i cancri | Sangue |
Mieloma | Cellule del midollo osseo (plasmociti) | Midollo osseo |
Cancro: perché?
Perché ci ammaliamo di cancro? Cos’è che scatena la nascita di un tumore maligno?
Non è possibile dare una risposta a queste domande indicando uno specifico fattore. Gli scienziati, fra i tanti dubbi e misteri che devono ancora risolvere, hanno qualche certezza: multifattorialità e alterazioni genetiche.
Come abbiamo visto in precedenza sono le alterazioni genetiche che portano alla formazione di un cancro, ma i motivi che portano alle alterazioni del genoma si sommano gli uni con gli altri. Alcune di queste alterazioni possiamo ereditarle a livello familiare, ma è certo, e fuor di discussione, che l’ereditarietà non basta da sola a spiegare tutto. È vero che alcune persone ereditano una certa predisposizione a contrarre un determinato tipo di cancro, ma è anche vero che il cancro è il risultato di un accumulo di alterazioni genetiche e pare certo che l’ereditarietà, per quanto importante possa essere, gioca, in linea generale, un ruolo tutto sommato minore nello sviluppo di un cancro, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, le alterazioni che possono manifestarsi a livello genetico si verificano “durante” la vita di un individuo e sono dovute a cause ambientali; quindi:
non siamo solo quello che nasciamo, per quanto ciò sia importante, ma siamo anche ciò che facciamo e ciò che subiamo.
Sono molti i fattori esterni che possono aggiungersi a un’eventuale predisposizione al cancro che potremmo aver ereditato a livello familiare: raggi ultravioletti, una particolare alimentazione, il fumo, esposizione a determinate sostanze, virus ecc.
Il nostro DNA ha efficienti sistemi di riparazione cellulare, ma ripetuti assalti esterni, in aggiunta a una determinata predisposizione, possono contribuire a ridurre decisamente la loro efficacia.
Alcuni esempi sono rappresentati dai virus: il virus dell’epatite B può favorire l’insorgere di un carcinoma epatico, il cancro del collo dell’utero può essere favorito dal papilloma virus umano, ma tali virus sono da considerarsi dei “corresponsabili” dello sviluppo di un cancro, non certo gli unici colpevoli.
Come il genoma possa essere destabilizzato dai fattori ambientali non è ancora chiaro e un aiuto potrebbe venire dall’epigenetica, una branca della biologia che studia le modifiche ereditabili a livello di genoma che si verificano senza che vi siano alterazioni nella sequenza del DNA. In ambito epigenetico le reazioni che avvengono con più frequenza sono relative all’aggiunta o al taglio di gruppi chimici denominati metili e acetili. Nel corso degli anni si è notato che i geni presenti in molti tipi di tumore presentano eccessi o difetti a livello di metilazione o acetilazione. Si ritiene pertanto che una strada percorribile sarebbe quella di agire farmacologicamente per correggere tali anomalie.
Secondo il ricercatore italiano Alessandro Vannucchi, dell’università di Firenze, “ciò che rende tutto il settore dell’epigenetica così interessante è proprio la possibilità di agire farmacologicamente su quanto è errato, azione impossibile a livello di mutazioni del DNA. Infatti, sulle mutazioni genetiche del DNA non si può fare molto, ma su queste anomalie è possibile intervenire con molecole che sono attualmente in studio“.
La pista epigenetica è decisamente affascinante, ma è ancora troppo presto per poter rispondere con sicurezza alla domanda del paragrafo. Quello che però deve passare è che il cancro, nonostante possano esistere determinate predisposizioni, non è un qualcosa di ineluttabile.
Attualmente il cancro è uno dei misteri sui quali purtroppo si intrecciano interessi enormi, di cui è persino difficile fare un elenco esaustivo:
- le multinazionali del farmaco hanno un business enorme dagli antitumorali, farmaci non sempre efficaci e con gravi effetti collaterali;
- per contro la medicina alternativa propone improbabili soluzioni che mai hanno ottenuto risultati riproducibili;
- la mancata vittoria sulla malattia alimenta persino strategie irrazionali (pensiamo ai maghi);
- i ricercatori usano spesso il cancro come trampolino di lancio delle loro carriere, confondendo una ricerca promettente (il punto d’inizio) con una verità scientifica dal valore ormai consolidato e immenso;
- il mondo ecologista ha sempre usato il cancro come spauracchio (inquinamento, pesticidi ecc.) con cui acquisire proseliti fra la popolazione;
- l’industria del benessere gioca sull’informazione spesso non definitiva per proporre come magici, prodotti tutto sommato mediocri per un’improbabile prevenzione;
- i media non mancano di utilizzare tutti i punti sopraccitati per realizzare inopportuni scoop.
Eppure sarebbe così semplice fare il punto sul cancro; basta essere onesti e razionali, senza pretendere di arrivare a verità superdettagliate (questo è compito appunto dei ricercatori). Attualmente la spiegazione più semplice del cancro è la seguente:
ogni individuo ha un naturale e genetica barriera difensiva dagli agenti cancerogeni (ambiente, virus ecc.); tale barriera è notevolmente diversa da soggetto a soggetto e può variare con lo stile di vita.
Quindi:
1) La barriera genetica è come una diga, alcuni l’hanno altissima, altri, più sfortunati, molto bassa. Ciò è veramente devastante e non deve essere troppo divulgato. Nel momento stesso in cui la genetica riuscisse a definire esattamente le caratteristiche di tale barriera, senza che la medicina avesse pronta la cura, si porrebbe il problema morale di avere a che fare con migliaia di persone che conoscono il loro destino. Quindi è meglio andare a raccontare che la carne provoca il cancro.
2) L’esistenza della barriera è sotto agli occhi di tutti ed è banalmente dimostrata dal fumo. È ormai universalmente accettato che il fumo è il responsabile principale del tumore al polmone; eppure ci sono fumatori, anche importanti, che non sviluppano il tumore. I cancerogeni (o supposti tali) non fanno altro che dare mazzate alla nostra diga: se è alta e forte non crolla, se è bassa e debole s’instaura la patologia.
3) Che lo stile di vita possa variare la barriera è ampiamente documentato da tutte le ricerche che dimostrano come sovrappeso, sedentarietà, droghe ecc. aumentano nettamente (e senza margine di discussione) le probabilità di cancro.
Quindi è un discorso di probabilità, non di certezze.
Quando vi chiedono perché faticare per fare attività sportiva, per non andare in sovrappeso, perché essere morigerati e non fumare o non bere ecc., spiegate che state lavorando per innalzare la vostra diga anticancro.
Attualmente dare soluzioni per sconfiggere il cancro è puerile e chi lo fa o è interessato o è talmente invasato da quello in cui crede da essere pericoloso, ma aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza con uno stile di vita ottimale è una certezza. Sintetizzando questo paragrafo e utilizzando il concetto di buon stile di vita come definito nel sito, possiamo dire che i fattori che entrano nel pianeta cancro sono:
- Ereditarietà
- Stile di vita
- Droghe (fumo, alcol ecc.)
- Alimentazione
- Attività fisica
- Equilibrio psicologico (stress, ansia, depressione)
- Ambiente
- Virus
(1) Esistono eccezioni a questa “regola”. Le più importanti sono costituite dai tumori maligni delle cellule gliali del sistema nervoso centrale (i gliomi) e dai carcinomi dello strato basale dell’epidermide (i basaliomi). Gliomi e basaliomi sono infatti tumori notevolmente invasivi, ma raramente danno luogo a un processo di metastatizzazione.